Cerca nel blog o nel web o nei siti della PacotVideo

sabato 10 agosto 2013

Nel cuore delle cascate reatine

(Liberamente tratto da Silenzi di Pietra).

Il versante reatino dei monti della Laga, di là dal Ceppo e la cascata della Morricana in provincia di Teramo, è verde di boschi e fresco di acque scroscianti.

Queste montagne appartate, a lungo ignorate da escursionisti e naturalisti,serbano stupende sorprese.


E’ impossibile raccontare le emozioni in questo orizzonte indefinito tra realtà e fantasia, dove occhi e pensieri si confondono e riescono a percepire sfumature altrimenti invisibili.

Mi sento felice come un bambino quando posso vedere getti d’acqua inebrianti: da questo versante laziale, l’Organza, le Barche, il salto di Cima Lepri, dall’altra parte lo scrosciare dell’acqua della Morricana, tra gradoni rocciosi di arenaria, nel fiabesco contorno del bosco della Martese.

La cascata delle Barche, raggiunta faticosamente dalla località Capricchia, apre il cuore per la sua bellezza selvaggia.
L’ultimo salto di questo fosso chiamato della Solagna, prima di tuffarsi allegramente nell’imbuto di Selva Grande, cade a strapiombo per quaranta metri e in primavera si propone come una bella gita familiare.

In località Sacro Cuore, antico convento di Capricchia, piccolo presepe di case del reatino, parte un interminabile saliscendi faticoso in mezzo ad una gola stretta dove lo sguardo non riesce mai ad avere l’agio della distanza.

In lontananza, lo scrosciare delle acque è musica per le mie orecchie.

Sono immerso nei pensieri e nelle meravigliose sensazioni di natura viva, quando arrivo sotto l’inebriante “cascata delle Barche”.
E’ veramente la più bella delle tre, proprio sotto la verticale di Cima Lepri.
Compare all’improvviso, tra gli straordinari picchi rocciosi, al limitare di una piccola ma ariosa distesa piena di spinaci selvatici.

Il respiro che si rifiuta di togliere l’affanno a causa della salita, ora soffre di apnee selvagge per la bellezza del luogo.

La foresta presenta un fascino forte in cui l’essenza e lo spirito arcano si materializzano e rendono quasi palpabili, rapiscono e stordiscono il visitatore, trasportandolo in un mondo fatato, onirico e meraviglioso.

Conifere e latifogli s’incontrano, s’intrecciano, in un rondò superbo in cui due mondi vengono a contatto, in intima unione.
Stormi di corvi sembrano annerire il cielo, lo sfidano, quasi, con le loro incredibili traiettorie.
Sono decine, centinaia.
Impressionante!

Scendo a valle, che è pomeriggio inoltrato.
In una radura mi pare di scorgere in lontananza una piccola sagoma nera, in piedi. Penso sia il tronco annerito di un albero colpito da un fulmine.
Incredibile a dirsi, è un pastore, per giunta italiano!
Credevo non si trovasse altro che macedoni o albanesi a guardia delle greggi!
Una ventina di pecore sdraiate sulla nuda terra, paiono pendere dalle sue labbra.
Mi porta non lontano lì dove, in un’ondulazione del pianoro, si trova il suo ovile improvvisato.
Mi propone di passare a casa sua.

Abita nel vecchio paese di Preta, non lontano da Capricchia.
Ha del buon formaggio da vendere, mi dice. Non più tardi di un’ora dopo sono davanti alla sua casa in pietra.
L’abitazione, alquanto squallida, sembra aver sofferto e non poco il terremoto.
Ha l’ala destra del piano superiore che pare aver subito un raid dei matti seguaci di Bin Laden a Kabul.

A lato, mi colpiscono una trentina di alveari, tutti allineati come soldatini di piombo.
Il cane all’uscio è silenzioso come il padrone.
Mi porta nel sotterraneo dell’abitazione e, mentre sto chiedendomi se l’abitazione mi crollerà in testa, davanti ai miei occhi estasiati, si apre un mondo di formaggi deliziosi e profumati.

Mi invita a provare la sua ricotta e al mio primo boccone diventa loquace di colpo, come se assaggiare il suo prodotto, mi abbia reso un fratello.

Che giornata meravigliosa.
Il degno epilogo è davanti un fumante piatto di bucatini all’amatriciana.

********************

Per raggiungere la base di partenza per le cascate reatine:
Da Ascoli Piceno si percorre la S.S. Salaria n° 4, giunti al bivio per Amatrice si devia per il paese che si attraversa passando per la via centrale. 
All’uscita Sud-Est dell’abitato c’è un incrocio, trascurare la strada di destra per Montereale e proseguire dritti per 4,5 Km fino a un quadrivio dove ci sono le indicazioni per la frazione di Capricchia (primo stradino a sinistra).
Giunti nella piccola piazza si notano le indicazioni per il Sacro Cuore e il Monte Gorzano, imboccare in salita la stretta strada a destra (strada asfaltata ma piena di buchi), superato il Fosso di Valle Conca (sulla destra c’è una presa d’acqua dell’Enel) si arriva sul pianoro del Sacro Cuore dove si parcheggia subito a sinistra su uno slargo, località Capo la Valle, quota 1381 m.

=========================
Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
=========================

venerdì 9 agosto 2013

La pecora mite e il bravo maiale

Dal mio primo libro "Silenzi di pietra".

Mi chiedo perché il mondo abbia smesso di camminare.
Siamo ormai una generazione di un mondo occidentale industrializzato stanca, sola, pigra, che trova inutile il girovagare, camminatori virtuali che vivono prigionieri di tristi pensieri.

Io, al contrario, amo contare a lungo i miei passi.

Mi trovo a fare il classico “struscio” per la bella Amatrice, in territorio laziale, ammirando la chiesa di S. Agostino con il suo ricco portale gotico e l’artistico rosone centrale.

Sono presso la porta Carbonara, uno dei passaggi della cinta trecentesca che un tempo circondava la città.
Ho un’ebbra passione per questa cittadina.
Mi chiedo cosa ci faccia, sperduta tra i monti.
Mi colpisce sempre la facciata orizzontale con il ricco rosone e il bellissimo portale tardo gotico, finemente scolpito.

Percorro per intero il muraglione che porta a San Francesco.

La chiesa è uno dei monumenti più belli della città.
Intorno alla seconda metà del XIII secolo i francescani si insediarono ad Amatrice e successivamente portarono a compimento la chiesa, dedicata in origine alla Vergine e a S. Francesco.
Nel 1639 e nel 1703 due gravissimi terremoti sconvolsero la zona e il complesso subì notevoli danni.

La facciata presenta un portale a cuspide nella cui lunetta è visibile un gruppo in terracotta policroma con la Madonna e il Bambino in mezzo a due Angeli.

Tra le emergenze architettoniche di questo centro montano spicca la duecentesca Torre Civica, rimaneggiata alla fine del Seicento, e che secondo una tradizione orale, tramandata in loco, oscilla di venti centimetri quando suona il grosso batacchio della campana.

Fu il principe Alessandro Maria Orsini ad isolare e rinforzare la torre nel 1684, preoccupato dalle eccessive oscillazioni.
A questo personaggio, ultimo principe di Amatrice, è legata una delle pagine più oscure della storia cittadina.
Nel 1648 fu accusato del barbaro omicidio della moglie, la principessa Anna Maria Orsini, e costretto a scontare 36 anni di carcere a Castel Sant’Angelo a Roma.

“Benvenuti ad Amatrice, città degli spaghetti all’amatriciana”, recita un cartello all’ingresso del paese.
E’ qui, infatti, che la famosa ricetta ha preso forma.
C’è ancora chi conosce il luogo solo per il sentito dire del piatto famoso degli spaghetti che qualcuno vorrebbe realizzato con tagliatelle o fettuccine e che rappresenta una delle superbe gastronomie dello Stivale d’Italia.

La vicenda di questo piatto è sospesa tra storia e leggenda!
Me la racconta un aristocratico del luogo, il Conte De Amicis.
E’ un conte davvero, ragazzi!
Non ne avevo mai visto uno finora!

Racconta, (pensate, ha anche la r moscia come si conviene a un sangue blu) che una sera del 1847, si trovò a passare in questi ameni luoghi venendo dai bellissimi borghi della vicina Salaria, attraverso Ascoli Piceno e Arquata del Tronto, Ferdinando III sovrano indiscusso del Regno di Napoli.

All’illustre visitatore furono offerti, in segno di riverenza, i tipici spaghetti confezionati con il guanciale, i san marzano e il pecorino.

Il re, notoriamente buongustaio, fu rapito irrimediabilmente dal sapido gusto di questo piatto povero dei pastori così sublime nella sua semplicità, e indisse senza indugio una grande festa che durò più giorni, tra mescite di vini e libagioni abbondanti.
Molti anni più tardi il noto scrittore laziale Baccari scriveva che: “…la pecora mite e il bravo maiale donarono insieme formaggio e guanciale per fare un cibo sovrannaturale…”

Il conte è visibilmente soddisfatto.
Come interlocutore, sono il massimo dell’attenzione.
Guardo il nobile cittadino, discendente di una delle famiglie più in vista d’Amatrice.

Sembra alla moda, con i suoi scarponcini Tod’s retrò, tomaia di pelle scamosciata color testa di moro, modelli che negli anni Cinquanta si usavano in montagna ma che col tempo si sono alleggeriti e “ingentiliti” fino a essere indossati sotto una giacca tweed ultima tendenza.

“Non sopporto quei tozzi anfibi militari con tripla suola a carrarmato pesanti come piombo” – dice ridendo. Dettagli di eleganza spicciola che catturano.
Un bel pantalone di velluto a coste e l’aria di chi i suoi anni non se li sente affatto.
Diciamo che occorre gusto, occhio, uso del mondo.

Amatrice non è solo la città della pasta ma un vero paradiso, un’oasi naturalistica ricca anche di tesori artistici di pregevole fattura come la monumentale chiesa di Santa Maria del Suffragio.

Non dimentichiamo di visitare, ammonisce l’amico, il tempio dedicato alla Patrona di Amatrice “Maria SS. di Filetta”, evocatrice di memorie miracolose e meta di una processione infinita nel giorno dedicato all’Ascensione.

Questo è uno dei luoghi che proverebbero la benigna protezione della Vergine verso le nostre terre.
Raggiungo il piccolo villaggio di Filetta sulla riva destra del fiume Tronto per scoprire la storia antica di una pastorella, Chiara Valente cui, tra una tempesta di vento e pioggia improvvisa apparve, in tutta la sua magnificenza, la Madonna, squarciando le nuvole bigie.

In mezzo a quella luce vivida, Maria S.S. promise protezione infinita a quelle contrade, assicurando nei secoli guarigioni prodigiose e salvezza dai nemici.
Non solo!

Amatrice è anche palazzi turriti che testimoniano l’importanza storica dell’antico borgo fortificato e della sua assolata conca.
Capirete dopo una visita accurata che, di là dell’originale piatto pastorale, semplice, povero ma genuino, esiste tutta una serie di emergenze ambientali e architettoniche da lasciare stupefatti.

Su consiglio del distinto signore, vado a leggermi un libro sulle rive del lago di Scandarello.

Da Ascoli Piceno o A14 Adriatica, uscita casello di S. Benedetto del Tronto. Seguire le indicazioni per Ascoli Piceno. Da Ascoli Piceno seguire la via Salaria in direzione Roma-Rieti fino al Km 136,400, bivio per Amatrice in località Ponte Nea..
Da L’Aquila (prossimità casello L’Aquila Ovest della A24) si arriva ad Amatrice percorrendo la SS260 “Picente”. Lungo il tragitto si hanno chiare indicazioni per Amatrice.

=========================
Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
=========================

giovedì 8 agosto 2013

La Vergine di Amatrice

L'erba un tempo veniva tagliata regolarmente intorno ai piccoli tavoli in legno disseminati nella piana sotto Cima Lepri dove sorge la splendida chiesina della Cona Passatora.
 Il piccolo borgo, una manciata di chilometri da Amatrice, è un semplice aggregato di antiche case montane fatte di pietre abbrunite dal tempo.

Il vecchio parroco, sconsolato, dall'ambone domenicale predica ai fedeli a messa di munirsi tutti di falce e decespugliatori perchè il comune di Amatrice latita.
Pensare che questo minuscolo tempio è di una bellezza incredibile.

Pare che a vederlo si sia scomodato niente di meno che il grande Zeffirelli.
Anni fa, raccontano in paese, dopo aver realizzato il film “Gesù di Nazareth”, il regista piombò in tarda serata in questo luogo idilliaco che ha poco di urbanizzato. Chiese di poter vedere l’interno della Cona Passatora.

Raccontano che il fiorentino sia rimasto così colpito dagli affreschi contenuti nella piccola chiesa campestre che non voleva più andarsene.

L’antica cittadina dello spaghetto amatriciano è lontana una manciata di curve da questo splendido luogo sacro, scrigno artistico posto proprio sotto la parte più aspra dei monti della Laga.

Si trova sulla riva destra del Ferrazza, piccolo affluente del fiume Tronto il più importante dei corsi d’acqua del piceno.

“Il Tronto nasce qui- mi dice Guerino un allevatore della zona - basta avere piedi buoni e salire sul versante occidentale della Laghetta”.
Indica col dito la cima.

Strana etimologia quella del nome Tronto che deriva dall’antichissima città di Truentum situata un tempo alla sua foce e chiamata così per via di un cippo “rotondo” (trondo) simbolo del luogo.

Pare che la città debba la sua nascita a una banda di delinquenti che imperversavano con le loro ruberie sia nel teramano, che nel reatino.
Paesi sperduti della provincia di Teramo come Valle Vaccaro, Macchiatornella, Padula, furono rasi al suolo più di una volta da questi maledetti senza scrupoli.

La città con il suo caos è lontana mille anni luce.
Sono a meno di quindici chilometri dalle profonde acque del lago e poco più di venticinque dall’inizio del tratto teramano della Strada Maestra del Parco nella valle del fiume Vomano.
Miracolosamente, il minuscolo edificio non presenta i danni del maledetto sisma.

Si vive un’armonia rassicurante in una gamma di colori che per definirli occorrerebbe un più vario vocabolario cromatico.
Colpevolmente, turisti stranieri e italiani allettati dai piatti fumanti dei bucatini all’amatriciana, indecisi se preferirli bianchi col guanciale di maiale o rossi con il pachino e i peperoncini cocenti, ingozzati di buon pecorino e agnello di montagna, ignorano la visita a questo posto indimenticabile.

Eppure qui arte e natura si fondono mirabilmente, donando gioia agli occhi.

“E per fortuna…”- dice la signora Elena, una delle incaricate ad aprire il piccolo portale ai visitatori occasionali - altrimenti qui ogni giorno sarebbe la processione della Madonna di Filetto”.
La donna, gentilissima, è allampanata, lunga e pallida.

La Vergine si degnò di apparire, racconta, in un libercolo, l’anziano parroco, Don Sante Paoletti della basilica di Sant’Agostino, ad alcuni agricoltori intenti a lavorare i campi.
 Videro nel crepuscolo della sera, all’ora del “vespero”, emanare un grande bagliore da una piccola statua della Madonna, posta in un’edicola votiva in mezzo al sentiero.

Una luce prodigiosa, canti celestiali e un’apparizione che continuò per giorni davanti a tutta la popolazione della vallata, inginocchiata a pregare.
La donna che ho davanti, non sembra mai contrariata di dover fare spesso la spola tra il piccolo borgo e la chiesa sperduta nella radura.

Un onore e un onere che ogni tanto le peserà soprattutto quando arrivano a rompere le uova nel paniere a mezzogiorno, mentre è davanti ai fornelli.

Mentre racconta entusiasta la storia dell’antica cona votiva, lame di luce si insinuano tra il legno del piccolo portale e l’interno.
Sotto la mirabile volta gotica mi accoglie l’antica immagine affrescata, rappresentante la Madre di Dio lattante con il piccolo Gesù.
E’ di un verismo incredibile.
Tutto intorno, si ammirano dipinti raffiguranti i dottori della chiesa e l’opera insigne del grande Cola d’Amatrice, al secolo Nicola Filotesio.

L’artista, in ricordo del miracolo, ideò in questo luogo un dipinto raffigurante la Madonna corteggiata dalle schiere degli angeli che, con strumenti musicali, suonavano le lodi a Dio.
Le pitture risalenti al XV secolo contengono anche schizzi meravigliosi di abeti bianchi a testimonianza della presenza di questi alberi nei boschi vicini.

La piccola folla in jeans e sandali che ha pregato nella celebrazione Eucaristica ora è tutta dispersa nel verde circostante, tra prati, boschi di larici, querce e abeti.

Il sole primaverile è piacevole.
Tutti sono beatamente stravaccati in panchine comode in attesa che i malcapitati di turno finiscano di cuocere la carne ai ferri sulle fornaci sparse qua e là nella radura.
C’è con loro anche un giovane prelato tutto compunto nel suo completo nero e colletto inamidato.
L’aria che giunge dalla vetta di Cima Lepri è frizzante ma gradevole.

Decido che la prossima tappa debba essere la valle delle cascate nel versante reatino della Laga, proprio di là della località turistica de il “Ceppo” teramano e la foresta del Castellano.

Per la Cona Passatora partendo da Amatrice si raggiunge prima Retrosi, quindi si oltrepassa la frazione di Cossara e prima di arrivare a Ferrazza, poco oltre il cimitero, si continua con una sterrata che in breve permette di raggiungere il Santuario.

=========================
Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
=========================

martedì 6 agosto 2013

Pensieri liberi sulle sponde del lago


Le montagne, allineate come soldatini, mi ricordano e non capisco perché, un poster sul muro nella camera degli ospiti in casa di amici.
Nella foto c’erano ritratti dei soldati maori della seconda guerra mondiale intenti all’”Haka”, la famosa danza rituale che precedeva la battaglia.
I militari erano di stanza in Italia e durante il conflitto si fecero ammirare per il sacrificio, il coraggio e l’aiuto che offrirono alle popolazioni stremate.

I loro sguardi erano fieri come antichi guerrieri e contorcevano il viso, strabuzzando gli occhi, tirando fuori la lingua in attesa di combattere i carri armati con le baionette.

Le cime della Laga si specchiano qua e là sul bacino lacustre di Campotosto.

Il tempo incerto regala un cielo drammatico.
Un lago di montagna credo sia un infinito e azzurro paesaggio dell’anima.
Non c’è altro luogo che m’ispiri in Abruzzo così tanta serenità bellezza, armonia.

A volte regala anche malinconia e inquietudine.
Ma non si rimane mai indifferenti.

La magia su queste rive non è solo nella trasparenza delle acque, è anche nei colori che in molte ore del giorno sono indefinibili.

Credo che neanche la scienza sia in grado di scegliere una tonalità predominante ed eleggerla come principale nell’infinita gamma dei celesti, dei blu, dei verdi o dei grigi.

È un autentico miracolo per chi non riconosce la presenza di Dio.
Per me che credo profondamente all’esistenza di un Signore dei giochi che dall’alto scherza colorando il mondo, è solo una conferma delle mie convinzioni.
Non so dirvi cos’è.
Forse dipende dai fondali diversi da quelli del mare, forse il riflesso delle rocce che si specchiano sulle acque, non so.

E che dire di quella sorta di limo finissimo che qualcuno paragona a volgare fango ma che, rimanendo in sospensione sulle acque, crea stupendi giochi di luce insieme a piccole alghe, piante acquatiche, pietre e tronchi morti?

Quel che certo è che le cromie che nascono sui laghi ai piedi di cime austere sono indescrivibili e mortificano chi ama la fotografia che risulterà imperfetta e non in grado di regalare la realtà.

Un antico rituale usa le pietre sagomate dal colore bluastro che rare volte si riescono a trovare sulla sponda di un lago, per ottenere un po’ di ricchezza.

Il fatto è che le volte in cui si trovano questi ciottoli colorati sono così poche che le possibilità di arricchirsi sono praticamente nulle.
E comunque, quantunque riusciate a trovare la pietra amici miei, pochi giorni dopo la luna nuova, allorquando la falce luminosa è appena visibile nella volta celeste, stringete nel pugno il ciottolo, guardatelo intensamente e poi aprite il palmo della mano e osservate intensamente l’astro in cielo per tutta la notte.
Comincerebbe, dicono, una sorta di magia che incide positivamente sulla psiche e l’agognato danaro dovrebbe manifestarsi in pochi giorni.

Ho camminato sulle sponde dell’invaso di Campotosto, da Poggio Cancelli fino al paese regalandomi sensazioni bellissime.
Ovunque nel vecchio borgo si notano ancora i terribili segni del sisma 2009. Molte abitazioni sono ancora imbracate e Dio sa fin quando lo rimarranno.

Ho scoperto che i pesci d’acqua dolce, fatti ai ferri con porcini arrostiti, sono qualcosa in grado di fare uscire fuori di testa.
Una bontà unica che potete mangiare da “Barilotto”, nel centro del paese, accanto alla piazza.
Il nome di questo locale non deriva dalla botte posta all’ingresso, ma dalle proporzioni più che generose del fondatore di questo ristorante, il conosciutissimo Berardino Spina, sponsor più che attendibile, data la sua figura prominente, di autentiche delizie del palato.

Il posto a vederlo distrattamente, non ispira granché ma quando ti siedi è come se un maestro d’orchestra muovesse la bacchetta e centinaia di musicisti iniziassero un mirabile concerto con tanti strumenti.

E tu sei lì ad ascoltare deliziato.
Oggi il figlio fa dei “tagliolini al sugo di pesce di lago” che sono rinomati in tutto il centro Italia, in un ambiente informale ma piacevole.
Il luccichio di entusiasmo negli occhi del patron è stato contagioso quando mi ha illustrato la sua idea di ristorazione.

Ho pensato che grazie a questi uomini dalla passione autentica, con i loro menù e con un servizio forse un po’ ingenuo, un approccio naif e piccole sbavature, rappresentano comunque la gioia dell’ospitalità di un territorio.

In questa splendida area wilderness, giù fino ad Amatrice nel reatino, il mangiare è cultura, storia, arte.

=========================
Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
=========================

lunedì 5 agosto 2013

Le singolari storie della Santa Patrona di Cesacastina

Un grazie dal profondo del cuore al caro Alessandro de Ruvo per le sue ineguagliabili foto dei paraggi dove gustiamo fra l'altro le Cento Fonti e a Concetta Zilli per le storie di montagna che mi racconta, affascinandomi! 

“Anche se parlo la lingua degli uomini e degli angeli e ho una fede da spostar le montagne, se non avrò Amore sarò nulla.” (San Paolo)

Arrivando a Cesacastina dalla località Colle, andando verso la montagna, s’incontrano i ruderi della chiesa dedicata a Santa Maria Maddalena, una delle sette sorelle come usavano chiamarle gli anziani.

Le chiese, si credeva parlassero tra loro, comunicando con gli sguardi delle Madonne: quella di Cesacastina vedeva il tempio della madonna della Tibia di Crognaleto che, a sua volta, scorgeva la chiesa di Aielli e così via di seguito, toccando sette paesi vicini.


Purtroppo questa costruzione sacra quasi non esiste più.
 È crollato il tetto ma il perimetro è rimasto e si vede anche la finestra.

La storia è singolare ed intrigante: non inquadrabile in nessun periodo, la sua origine pare collegata ad un monastero che gli anziani raccontano si trovasse a metà montagna.

Il pastore Elia, oggi ancora vivente, crede di sapere dove siano i pochi ruderi.
Pare che all’interno del luogo sacro, vi fossero dei frati alchimisti, bravissimi a curare le più svariate malattie.
Fuori dal monastero doveva esserci un lebbrosario dove si curavano i crociati di ritorno dalla terra santa che poi venne chiuso intorno al 1500.

È ormai sicuro che in cima a queste montagne, oggi dimenticate o quasi, passasse la strada romana consiliare, che collegava l’allora capitale del mondo, alla terra degli infedeli musulmani.
Più a valle, accanto al fiume Vomano, c’era anche una piccola “via della seta”, calpestata nel corso dei secoli da mercanti, pellegrini, soldati, artisti e contadini.

Queste arterie di ampia comunicazione facevano viaggiare la geometria, l’astronomia, la conoscenza.
Sulla groppa di cavalli carichi di mercanzia viaggiavano anche le idee di civiltà in civiltà, di paese in paese.

Tornando ai frati, si racconta avessero in custodia la statua lignea di Maria Maddalena, santa più che chiacchierata all’interno del mondo cattolico.

I poveri religiosi morirono tutti insieme per colpa di una vipera, introdottasi nella damigiana del vino.
Immaginate un po’!

Tutti i frati avvelenati insieme da un povero serpente, affogato nel liquido.
Certamente non credibile, che dite?

La presenza ingombrante di una santa controversa, il passaggio per la Terra Santa, il presunto avvelenamento collettivo dei fraticelli, le sette sorelle, l’olmo secolare, tesori e ricchezze sepolti nei dintorni, hanno più volte indotto gli studiosi a credere alla presenza inquietante dei templari.

Non sarà che il Santo Gral, la misteriosa reliquia e’ tra i nostri monti?
Si spiegherebbe anche così la grande presenza di chiese in tutti questi paesini sperduti, sede strategica e luoghi di ristoro morale e spirituale per le truppe partecipanti alle prime Crociate, quelle promosse da Papa Urbano II di Cluny.
Già, le crociate!

Furono sì una coraggiosa difesa dei fratelli di fede, minacciati dall’espansionismo islamico, una sorta di pellegrinaggio armato, ma ebbero risvolti così cruenti, da perdere presto ogni significato religioso.
Un flusso incontenibile di penitenti, lento e maestoso, che si diresse verso Gerusalemme tra due ali di lance brandite da coloro che San Bernardo da Chiaravalle definì “Cavalieri di Dio”.

Qualcuno, molti anni fa pare abbia ritrovato un medaglione con impressa la croce ad otto punte, la Stella Mattutina tanto cara ai Templari che veniva stretta in mano durante le preghiere.
Sarà vero, sarà falso?

Credo che se riuscissimo a fare un passaparola potrebbe verosimilmente, accadere quello che si è registrato in Basilicata dove questa notizia tarocco ha incrementato in maniera esponenziale il turismo dei curiosi e dei credenti.

Tornando al monastero di Cesacastina, si racconta che dopo la morte dei frati, a distanza di tanti anni, fu ritrovata la statua lignea della Maddalena e si decise di portarla al paese, nella chiesa della Villa.

L’effige, misteriosamente spariva ogni volta dal tempio, per essere poi ritrovata all’interno del vecchio convento tra le balze rocciose.
Si costruì questa nuovo luogo sacro, più vicino alla montagna, con la finestra aperta proprio verso il vecchio monastero in modo tale che la statua potesse vederlo: da allora la leggenda racconta che la Maria Maddalena in legno è rimasta ancorata al suo posto!

L’Abruzzo è una regione dove ancora sopravvivono superstizioni, pratiche magiche, culto di reliquie, riti di stregoni e fattucchiere, cerimoniali e preghiere contro spiriti maligni.
C’è un racconto che mi ha impressionato.
Sotto le grondaie del tetto della chiesa, si seppellivano i bambini nati morti.
I piccoli sventurati non erano degni del cimitero perché non battezzati.

La pioggia che scendeva dalle tegole, avrebbe lavato il loro peccato originale.
Lì sotto e’ pieno di corpicini, tanti erano i decessi neonatali.

Proprio vicino al tempio, c’è l’acqua di Santa Maria Maddalena: un rivoletto fatto davvero di poche gocce che sgorga non si capisce bene da dove, e sia d’inverno che d’estate, è sempre ai minimi termini.

È consuetudine il 22 luglio, giorno dedicato alla Santa patrona di Cesacastina, andare a prendere e bere quest’acqua benedetta.

(Tratto da Il mio Ararat, Cassandra Edizioni)

=========================
Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
=========================

domenica 4 agosto 2013

Le terre dei Vestini a cavallo del Gran Sasso

La strada sale lentamente verso l’interno affrontando con curve a gomito le alture che guardano alla moderna città di Pescara.

I grandi palazzi che sovrastano l’aristocratica piazza Salotto, sono lontani, inghiottiti da un dolce paesaggio collinare, profili di campagne, greggi al pascolo, fin quando dal verde di queste piccole alture non sbucano all’improvviso borghi turriti e castelli antichi.

Da teramano avventuratosi fin qui, provo l’impercettibile rammarico di un bel territorio che un giorno era nostro, prima che fosse creata la provincia pescarese.
Di colpo la veduta cambia, l’aria si fa più frizzante, boschi, gole scoscese e piccole praterie annunciano i profili maestosi del Gran Sasso e la Maiella, alternandosi ad altopiani, piccole appendici dell’interminabile Campo Imperatore.

E’ ciò che attende il visitatore che, attraverso Penne, risale a Farindola e poi a Fonte Vetica, sotto il duro massiccio del Monte Camicia, di là di Castelli, il borgo della ceramica nel versante teramano.
È il caso di arrivare fin quassù senza fretta, magari in moto per godere di quegli odori che qui la terra emana a profusione.

La bussola indirizzata verso una parte insolita dell’Abruzzo regala il fascino sottile di passare repentinamente dalla civiltà alla natura selvaggia e arcaica.

Il nostro viaggio inizia a Penne, il centro forse più importante di quest’area ricca di storia, denominata Vestina, dal nome dell’antico popolo italico, le cui avventurose vicende venivano già cantate negli epici poemi della Roma Repubblicana.

L’antica città di “Pinna”, porta d’ingresso di una porzione del Parco Gran Sasso Monti della Laga ritenuta di eccezionale valenza storica naturalistica, si trovava al crocevia dell’importante arteria che collegava Teate (l’odierna Chieti) a sud e l’Interamnia (Teramo) a nord attraverso la valle del Fino.
Un'altra grande via partiva dalla città per Hadria, Atri città ducale, unendo i territori di Montebello da Bertone, Vicoli fino al valico di Forca di Penne, entrando poi nell’aquilano.

Assolutamente da visitare Forca di Penne, passo di montagna dove un tempo transitavano i pastori con le loro greggi durante la transumanza.
L’abitudine dello sguardo è scossa da una dissonanza architettonica: il profilo di una tozza torre dal sinistro sentore di un tragico abbandono.

Quando da lontano, nella radura selvaggia si scorge questo singolare e semi diroccato manufatto medievale, silenziosa sentinella dei monti costruita dal nulla, il viaggio acquista il suo significato: segni dell’uomo, tracce della sua storia.

Questo luogo oggi è uno dei centri più importanti in Italia per lo studio dell’ornitologia.
Di certo la torre, nei secoli bui del medioevo, doveva servire a scrutare l’orizzonte per avvistare incursioni nemiche, ma è bello credere che questi uomini avvezzi alle guerre, si dilettassero anche alla vista dell’avifauna in un rozzo e primitivo birdwatching, alla scoperta delle eleganti evoluzioni di rari volatili.

La fenditura incassata tra il Monte Incappucciata e il Picca è un luogo magico.
Impressionano le rocce che circondano, minacciose e incombenti, quasi a deprimere il visitatore, il quale però alzando gli occhi al cielo e guardando l’impressionante numero di uccelli schizzare sopra la testa, è rapito da un’emozione profonda.

Le correnti d’aria che s’incuneano in questa depressione rendono oltremodo facile il volo degli uccelli migranti.
Vivono qui rapaci come l’aquila, il falco pellegrino, il gheppio, lo sparviero, la poiana.
Sono presenti barbagianni, allocchi e picchi.

La poco elegante torre ha la base invasa dagli sterpi, intorno capre e pecore, villeggiano beate ma il fascino è rimasto anche nel rammarico di qualcosa di bello che oggi non è valorizzato a sufficienza.

Il monte Picca che sovrasta quest’altopiano a 1000 metri, rappresenta uno dei balconi da dove scoprire la bellezza della nostra terra.
Chi ha buone gambe, partendo dalla torre, attraverso una facile carrareccia, alcuni tratti nel bosco e poi su di un piccolo sentiero facile, in circa due ore di cammino può salire in vetta, superando il dislivello di 500 metri e rimanere senza fiato, non solo per lo sforzo, ma soprattutto per la bellezza del paesaggio.

È un ampio giro d’orizzonte che fa scoprire il mare Adriatico e la Maiella, la valle del Tirino e l’immane bastionata del Sirente dalle dolomitiche guglie, inoltre la rigogliosa valle dell’Aterno, una delle conche più belle d’Italia.

Come un grande attore consumato, il Gran Sasso offre una prospettiva sconosciuta, un insieme irriconoscibile quasi, ma comunque sempre severo e altero nella sua infinita bellezza.

In fondo si scorge la Rocca di Calascio con le sue pietre di bianco immacolato.
Insieme alla Riserva Naturale WWF del Lago di Penne, questo luogo dimostra la cultura per la natura che è sempre stata insita nelle popolazioni vestine.

Dal valico è assolutamente da non perdere la visita al bellissimo paese semi abbandonato di Corvara ai piedi del Monte Aquileio, con le caratteristiche case in pietra locale e alle antiche mura medioevali di Cugnoli, Pescosansonesco con il santuario del giovane Beato Nunzio Sulprizio.

A pochi chilometri c’è anche Pietranico con il bell’Oratorio di Santa Maria della Croce.


Forca di Penne è raggiungibile più facilmente da Torre dei Passeri, Castiglione a Casauria, Pescosansonesco e Corvara in territorio pescarese.
Percorrendo la A 25 in direzione Roma, poco prima delle gole di Popoli scorgerete sul crinale della montagna la torre.

=========================
Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
=========================

sabato 3 agosto 2013

Un castello singolare nella valle subequana

Nel parco regionale del Velino Sirente si trovano luoghi ricchi di suggestioni medioevali che sembrano lontani da noi e che, al contrario, si raggiungono in una sola ora di auto.

Nomi pressoché sconosciuti: Tione degli Abruzzi, Goriano Valli, Acciano, Succiano alle pendici del monte Offermo.

Li ho visitati e vi assicuro, meritano attenzione.
Qui, il suggestivo incedere di crinali, gole rocciose, pianori carsici e maestose faggete, si intervalla mirabilmente a tesori d’arte, centri storici abbarbicati con le loro case, abbrunite dal tempo, su canyon selvaggi e boscaglie fitte.

Centinaia di insediamenti rurali dai caratteri unici, in mezzo ad una vegetazione dove risalta il colore saturo dei fiori sugli sfondi verdi.

E poi, la storia narrata da castelli, rocche, torri, borghi fortificati, ponti antichi, conventi millenari, chiese.

La valle subequana, in territorio di Acciano, circa 50 chilometri dall'Aquila, raggruppa tutte queste emergenze ambientali e storiche, proponendo i resti di due fortezze: i castelli di Beffi e Roccapreturo.

Beffi, almeno come nome dovrebbe essere noto agli appassionati d’arte visto che lo storico aquilano Lattanzi in un suo scritto ricorda che questo nome fa riferimento a quello convenzionale dato ad uno dei più stimolanti pittori di fine Trecento: un ignoto maestro al quale gli studiosi, in assenza di informazioni sulla sua vera identità, hanno dato il nome storico di “Maestro di Beffi”.

Dalla chiesa di Santa Maria del Ponte di Tione, un bel borgo vicino a Beffi, proviene infatti uno straordinario capolavoro realizzato da questo artista abruzzese; un trittico di tre tavole in legno dipinte e montate assieme in una grande cornice dorata.
Nel capolavoro di Tione, al centro è raffigurata la Madonna col Bambino in trono, e ai lati le scene della Natività e della Morte e Incoronazione della Vergine.

L’opera non si trova più a Santa Maria del Ponte, ma è esposta, per motivi di sicurezza, nel Museo Nazionale dell’Aquila.
La costruzione del castello di Beffi risale al 1185 ed è un maniero di pendio che sfruttava, cioè, la pendenza del terreno come sistema difensivo.

Insieme alla torre di Tione, quella di Goriano, quasi dirimpettaie, separate da un ponte d’epoca romana, al di sotto del quale si trovano i ruderi di uno dei più antichi mulini ad acqua abruzzesi, Beffi svolgeva funzione di segnalazione difensiva.

Sotto la torre, mentre sono intento a far foto, mi accoglie un vecchio ometto che sembra quasi aver perso la patina del tempo.
E’ difficile indovinare quanto anni possa avere.

Da lunghi inverni, mi rivela, sfida il freddo di queste zone, abitando solitario in una casetta ristrutturata, tra i ruderi del borgo.
Ha avuto il compito dal comune, a suo dire, di assistere i visitatori e dare loro qualche notizia.

Mi racconta in un gustoso linguaggio, storie che danno idea di una terra di frontiera dove, un tempo, l’uomo doveva sudare e molto per ricavare zolle lavorabili da questi ripidi pendii.

Il castello di Beffi, abbandonato nel settecento e restaurato da poco, è teatro oggi di caratteristiche rievocazioni in costume.

"Un castello, a Beffi, alto sull'Aterno, abitato da fantasmi che piantano cavolfiori fra le sue decine di mura come ostacoli per giganteschi cavalli alati, bisce sull'asfalto che non si scompongono al passaggio di un'automobile...".

=========================
Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
=========================

venerdì 2 agosto 2013

Il paese dove l'arte è di casa

Il signore è un po’avanti con l’età, ha il giornale sotto il braccio, si ferma davanti al bar per due chiacchiere con gli amici di sempre.

Il piccolo negozio a lato della piazza che vende di tutto non ha ancora aperto i battenti, il tempo qui è un optional.


La donna è seduta fuori in strada a godersi un raggio di sole primaverile.
Ma il tempo sembra volgere al brutto.
Manca il solito ometto di colore che chiede spiccioli.

Casoli, a metà strada tra la collina di Atri e il mare di Roseto, è un paese che vive immerso tra vigneti, colline odorose di girasoli fioriti, ubertosi uliveti.
Il paesaggio è impreziosito dagli immancabili e scoscesi calanchi che lo cingono ad oriente.
La ridente cittadina pare restia a qualunque clamore.

Non seduce per particolari architetture o per monumenti insigni.

Non ha strade lastricate, case in pietra dai portali istoriati, piazzette o slarghi su cui si affacciano belle chiese.
È ben altro il suo valore aggiunto.

Basta girare l’angolo per capirlo.

Ecco il Cristo benedicente che ti guarda attento, più in là anziani al bar intenti al tressette, contadini curvi per la raccolta del grano, un Pinocchio che guarda scanzonato l’abbecedario, campi di fiori, generali seduti accanto a donnine piacenti, maialini eterei figure sognanti e molti altri personaggi che da anni ormai qui nel borgo hanno preso residenza.

Le facciate delle case gialle, rosa, grigie, acquistano intensità cromatiche grazie ad opere scelte con indubbio gusto e al meraviglioso verde di colline dolci che chiudono il paese ad anfiteatro.
Le finestre, i balconi, grazie alla tenacia dei suoi abitanti e all’ingegno degli artisti, quasi si perdono catturati da architetture complesse di disegni, colori, immagini.
Sembra di vivere una perenne festa popolare dagli originali elementi scenografici.

In lontananza l’acqua cristallina dell’Adriatico s’inebria di un universo di bagliori d’acciaio che precipitano a fondo disegnando intonazioni di blu cobalto e azzurro intenso.

Un paese perfetto da guardare e vivere come gli altri borghi dipinti d’Italia dai nomi famosi quali Dozza in Emilia Romagna o Folgaria nel Veneto.

Ma mentre la prima località ha la sua anima medievale con il castello e le mura di cinta, la seconda gode dello sfondo impagabile disegnato dalle Dolomiti, patrimonio dell’umanità, la nostra vive di luce propria.


Tutto merito della fantasia di numerosi artisti che dal 1996 in poi, hanno deciso di dare corpo ai loro sogni affrescando tutte le abitazioni e dando vita ad una sorta di biennale d’arte moderna molto particolare: quella del Muro dipinto.

Sono pittori che hanno creato un’opera diffusa perfettamente integrata con il paesaggio, in sintonia con gli abitanti.
Da questo delirio artistico collettivo è nata la manifestazione “Casoli Pinta”, autentico museo sotto il cielo blu, una bella iniziativa gemellata con Varese, città che detiene la presidenza dei paesi dipinti in Italia.

Così in estate il villaggio di circa millecinquecento anime, bellezza nascosta per molti turisti che soggiornano lungo la costa adriatica, come d’incanto si veste a nuovo e mostra con orgoglio il dono di questi artisti che hanno valorizzato il piccolo centro entrando in proficua sinergia con la dinamica associazione Culturale “Castellum Vetus”.

Non c’è modo migliore per conoscere questa piccola comunità se non quello di lasciarsi guidare dai tratti indelebili di pennelli che creano un mondo colorato di personaggi, cieli azzurri e nuvole bianche con finti balconi, e spettatori inesistenti.

Improvvisamente inizia a piovere.
Cosa stupefacente, fino a pochi minuti prima splendeva un sole quasi estivo.
“E’ per via del buco dell’ozono” fa notare la vecchietta di passaggio.

“La verità è che non ci sono più le mezze stagioni” aggiunge un distinto signore mentre apre l’ombrello.

Ecco l’altro valore aggiunto del paese.
Gli abitanti sono così.
Comunicativi e disponibili.

=========================
Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
=========================

giovedì 1 agosto 2013

L’antica Colonna d’Ercole del Regno di Napoli.


All’alba di un mattino d’estate l’uomo cammina sul sagrato della chiesa.
Ha un cappellaccio bisunto, ingentilito da un nastro colorato, folta barba bianca e abbigliamento trascurato che gli danno aria da eremita.

Mi guarda mentre dal piccolo balcone della piazza scatto foto al sole nascente sul mare di Alba Adriatica.

Poi preso dalla curiosità, mi chiede se di professione sono un fotografo.
Reporter, gli rispondo, per hobby, aggiungo.
Se ne va tirando boccate da una pipa dopo aver sbarrato gli occhi all’ombra di cespugliose sopracciglia e a me, pare deluso. Si aspettava forse qualche grosso personaggio cui regalare storie del paese. Evidentemente uno scribacchino locale non gli dà affidamento.
Torno a scattare immagini.

Colonnella è un paese dove potresti trovare a ogni angolo spunti per un servizio fotografico.
Dall’alto del minuscolo belvedere al centro del paese la spiaggia sembra una creazione della fantasia.

Prima della distesa d’acqua la vista s’imbatte nei puntini multicolori delle migliaia di ombrelloni variopinti che fanno da sfondo a un immaginario fatto di scenografie per una varia umanità in costume da bagno.

Volgendo lo sguardo all’altra parte, gli occhi si riempiono della maestosità di cime tanto amate nel Gran Sasso e nei monti della Laga che promettono frescura e passeggiate corroboranti.

Sotto la collina, nella valle del fiume Vibrata, ferve la vita lavorativa dei campi con vigne e ulivi e delle mille piccole fabbriche che fanno di questa zona, al confine delle Marche, la parte più produttiva del teramano.

Colonnella, uno dei paesi più belli della provincia, è davvero come evoca il nome, un militare con stelline a guardia di un territorio che regala un caleidoscopio d’immagini di rara intensità.

L’etimologia viene forse per la sua antica posizione di “colonna d’Ercole” al confine dell’antico Regno di Napoli o forse dal nome del suo feudatario principale che ne volle l’incastellamento.

La visita a questo paese confinante con l’ascolano marchigiano è un nuovo, inedito percorso d’arte, di sapori e tradizioni che trasportano idealmente il visitatore, coinvolgendolo e affascinandolo in tutti i sensi.

È bella non poco la piazza del Popolo su cui prospetta la parrocchiale dei S.S. Cipriano e Giustino.
Ancor più bella la ripida salita di via dello Statuto che porta a Piazza Mazzini con il Torrione del secolo XVI costruito su basamento medievale. Colonnella da questa torre svettante con l’orologio che riesci a vedere da ogni parte, non si sottrae agli sguardi.

Si lascia, anzi, coccolare con i tetti, le grondaie ramate, le vie strette, le sue improvvise vedute che lasciano immaginare una sottile linea attraversante paesaggi, monti, colline, pianure e coste.
È come essere appesi su di un filo argenteo che unisce e connette un abitato con la sua natura dolce e placida, ricca di contrasti e contraddizioni.

Un consiglio: addentratevi nelle vie di questo borgo incastellato regalando tempo e tranquillità alla vostra visita.
Ne rimarrete entusiasti!

"Antichi palazzi costruiti su un'alta collina,
un intreccio di viuzze e scalinate,
diverse piazzette caratteristiche,
un panorama incantevole, unico,
l'aria salubre, fresca,
questa e' Colonnella."

Ennio Flaiano


=========================
Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
=========================