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lunedì 28 ottobre 2013

Arte medievale e rinascimentale a Pescocostanzo

Mi sono chiesto innumerevoli volte come sia possibile che un borgo montano a 1400 metri di altitudine, nel cuore di un altopiano sconfinato, possa celare nella sua compatta struttura urbanistica, gioielli incredibili tanto da farla definire una “capitale d’arte” dell’Italia meridionale.


Parlo di Pescocostanzo, il paese confinato lì dove declinano i monti della Majella e si stagliano, boscose e frammentate, le catene dei Pizzi e Secine.

Sotto le vette si trova una delle piane più belle d’Abruzzo, uno straordinario luogo con un gioco di grandi spazi e tacite, antiche presenze.
L’altopiano Maggiore con il Quarto S.Chiara, un miracolo dell’armonia della natura e della storia, custodisce questo borgo che fu frequentato da valenti architetti, scultori, poeti e artisti.

Tutti arrivarono, attratti dalle straordinarie emergenze culturali, risalenti prima al medioevo con un castello e poi al rinascimento, con il centro storico ricco di palazzi signorili e di splendide chiese.

La bellezza di questa parte d’Abruzzo si esalta ancora oggi, nelle pietre squadrate dell’antico villaggio pescolano.

Forse la grandezza del piccolo abitato fu dovuta al legame forte con l’abbazia di Montecassino che aveva nelle sue dipendenze diversi centri abruzzesi.
Già in quei tempi lontani il nucleo urbano denominato “Peschio” esprimeva altissime produzioni artigianali di orafi, maestri del ferro battuto, ebanisti e tessitori di tappeti. Ancora oggi sono rinomati in tutto il mondo, il merletto a tombolo e le lavorazioni magistrali dell’oro in orecchini, anelli e girocollo.

Non bisogna dimenticare in questi rigurgiti di grande arte che Pescocostanzo ha una storia soprattutto pastorale.

Un esercito di animali, uomini e carri che per lunghi millenni, dall’età del Bronzo, attraverso la romanità e fino alla metà del secolo scorso, hanno costituito quella economia pastorale che i nostri antenati hanno unito alla civiltà dell’amore per la terra.

Questa è una delle capitali della transumanza del centro Italia, lo testimonia la notizia storica che alla fine del XIV secolo fu fatta costruire in un piccolo paese del Tavoliere pugliese, Torremaggiore, una cappella per i pastori pescolani che lì passavano l’inverno.

Da un censimento del seicento, si scopre che gli ovini avevano una consistenza di oltre 30.000 capi.

Non è un caso che su questo ramo importante del grande tratturo Celano- Foggia, non lontano dal paese si trovi un santuario ai piedi di una rupe, dedicato a San Michele, luogo di sosta delle carovane pastorali.
Non a caso, nello splendido bosco di S. Antonio, si trova anche un’altra affascinante testimonianza con l’eremo risalente al XIV secolo, ricovero per chi aveva problemi durante il lungo cammino.

Il capolavoro del paese è sicuramente la collegiata di Santa Maria del Colle, scrigno di tesori con un incredibile rassegna di affreschi, arredi lignei, fonti battesimali, crocefissi preziosi e soffitti lignei settecenteschi dorati.
L’altare maggiore è uno spettacolo nello spettacolo.

La cappella del Sacramento è da urlo con una tela preziosa dedicata alla Madonna del Rosario, opera del pittore aquilano Cardone e la “Gloria del Paradiso” a impreziosire la cupola.
Forse l’opera più insigne è la “Madonna dell’Incendio sedato”, in cui Tanzio da Varallo, insigne pittore del Seicento, mise insieme tutto il suo grande genio, un gioiello che certamente meriterebbe una collocazione in grandi musei internazionali.

A lato della scalinata per accedere alla collegiata, sulla destra, si trova l’antichissima chiesina di Santa Maria del Suffragio dei Morti con il suo bell’altare in noce scolpito di fine seicento.
Ai piedi della scalinata la singolare “Pietra del vituperio”, dove un tempo si ponevano i fogli di scherno contro coloro i quali non onoravano i loro debiti nei confronti dei creditori. Era una sorta di ludibrio pubblico che precedeva un’incriminazione legale del debitore renitente.

Un bellissimo itinerario nel paese permette di scoprire palazzotti gentilizi di rara bellezza come:
Casa D’Amata (sec. XVI) con il caratteristico “vignale” (il pianerottolo su scala esterna),
Palazzo Grilli (sec. XVI) con quattro torrette angolari e due portali in pietra lavorata,
Palazzo De Capite con belle opere in pietra datate 1850,
la chiesetta di S. Giovanni con portale e rosone di metà Cinquecento,
Palazzo Mansi (sec. XVI), al centro del corso con il suo splendido portale, logge e scale esterne,
Palazzo Colecchi (1771) dalle linee armoniose e leggiadre,
Palazzo Cocco e Palazzo Ricciardelli , in stile barocco (sec. XVI) e balconi di ferro battuto.

Da non perdere assolutamente la visita all’ex Monastero di clausura di Santa Scolastica, costruito nel 1624 su disegno di Cosimo Fanzago.
Infine è d’obbligo un caffè nella bella e scenografica piazza centrale, zona vip del paese con il Palazzo del Governatore, recentemente restaurato, e il cinquecentesco Palazzo Comunale con la torre dell’orologio.

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Da Nord
Dall'autostrada Adriatica A14 in direzione di Ancona, seguire la direzione Roma, prendere l'autostrada A 25, uscire a Bussi/Popoli, seguire le indicazioni per L'Aquila, continuare sulla SS 17, attraversare Popoli e svoltare sulla SS 84 in direzione di Pescocostanzo.
Da Sud
Dall'autostrada A14 seguire la direzione Pescara, prendere l'autostrada A 16 in direzione Benevento, continuare per il raccordo RA 9 e a Benevento proseguire sulla SS 88, uscire in direzione Campobasso, prendere la SS 17, proseguire per la SR 84 in direzione di Pescocostanzo.
Da L’Aquila
Percorrere la SS 17 in direzione di Pescara, proseguire sulla SS 153 in direzione di Navelli, continuare sulla SS 17, attraversare Popoli, svoltare sulla SS 84 in direzione di Pescocostanzo.


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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domenica 27 ottobre 2013

I gioielli di Bominaco

L’altopiano di Navelli rimane uno dei luoghi più straordinari d'Abruzzo anche se l’uomo negli ultimi anni sta cercando di deturparlo con un orrido rigurgito di asfalto e cemento tra svincoli di accesso che farebbero pensare a vicine megalopoli anziché deliziosi paesini.


Borghi antichi si elevano sulla piana, dopo il sisma del 2009, semi abbandonati.
Nonostante tutto i grandi spazi e le distese verdi di mandorli resistono.
Ancora crescono gli orapi selvaggi, mentre intorno nessuno può togliere l’indimenticabile vista di monti e antichi abitati turriti.
Questa era il “fiume d’erba silente” della transumanza con le chiese tratturali, luoghi di sosta spirituale, i preziosi resti della romana Peltuinum e il romanico immortale di Bominaco.

La terra dello zafferano che un giorno veniva calcata dai misteriosi Guerrieri di Capestrano, quelli dal cappello a larga falda è un posto mitico nella regione.
Dovrebbe essere un luogo da conservare … dovrebbe.

Dovrebbe essere gridato il principio della intangibilità del patrimonio ambientale e artistico, dovrebbe essere fermato chi aspira a scippare la collettività del suo patrimonio di bellezza pervenuto dall’antichità.

E invece si continua a deturpare tutto con tappeti di bitume.
Questa era anche la terra dei Vestini, prima che giungessero anche qui, inesorabili, le legioni di Cesare.

Le imponenti mura raccontano della resa di un popolo che scomparve subito dopo, decimato da guerre e pestilenze.

Da Prata d’Ansidonia eccomi a sud, sulla statale 17 che mi porta a Bominaco e le sue case da poco meno di ottanta anime, nel territorio di Caporciano.

Oltre il paese c’è la splendida chiesa di Santa Maria Assunta con accanto il gioiello dell’Oratorio dedicato, chissà perché, all’abate San Pellegrino, contemporaneo di Cristo sconosciuto da queste parti.

In un comprensorio come quello aquilano dove da oltre quattro anni dal terremoto, è impossibile trovare una chiesa senza imbracature e puntelli, dove hanno chiuso nel cuore della città di Aquila, Collemaggio e San Berardino per pericoli di crolli, questo doppio tempio dell’anima è uscito indenne dal disastro.

E sì che l’abbazia del borgo medievale ha tutto simile a Santa Maria ad Cryptas nella vicina Fossa, chiesa che ha avuto seri danni in tutto il perimetro di struttura.

Dell’Oratorio che si trova proprio davanti al cancello d’ingresso di tutta la struttura immersa nel verde, ci sarebbe da dire tanto da riempire un libro: uno dei gioielli preziosi d’Abruzzo.

Ogni suo centimetro quadrato interno è affrescato mirabilmente come una sorta di Cappella Sistina.

Sui muri santi che inneggiano, un inedito calendario medievale simbolico a celebrare con tanto di segni zodiacali, il duro lavoro contadino nei mesi dell’anno e poi un grande San Cristoforo, oggetto di superstizione antica che lo vuole protettore contro le morti improvvise.

Affreschi di scuola abruzzese del XII secolo di maestranze artistiche che avrebbero imperversato in molte chiese dell’aquilano, opere di vasta dimensione che fanno gridare al miracolo per essere scampati miracolosamente alla terribile botta della terra.

Tant’è! Neanche altri terremoti, compreso quello distruttivo del settecento hanno scalfito la guerra di resistenza al tempo e noi non possiamo che gioirne.

Non so quanto ci sia di vero nel fatto che sia stato eretto da Carlo Magno.
Il grande condottiero avrebbe fatto elevare la basilica del Santo Liberatore a Majella, poi un altro considerevole numero di abbazie sparse in Abruzzo.
Non gli sarebbero bastati cento anni di vita nomade.

La chiesa che si trova subito dopo è fantastica nella sua semplicità di linee e colori.
Edificata fra l’ XI e il XII secolo stupisce per l’essenzialità della sua pianta rettangolare, le tre navate con eleganti colonne, le tre absidi, tipico delle basiliche romaniche e i capitelli diversi tra loro.

Ci sono da visitare, sulla collina circostante, i resti di un antica abbazia del mille, dipendenza della grande Farfa, con mura che si affacciano meravigliosamente sulla grande piana, tra distese arate, piccoli poderi, paesini fortificati.

La struttura, con castello annesso, fu rasa al suolo dalle indiavolate truppe di Fortebraccio da Montone, il famoso capitano di ventura nei primi anni del 400 durante la sanguinosa guerra tra Angioini e Aragonesi.

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La visita all’oratorio di S. Pellegrino e all’abbazia di S. Maria Assunta è consentita e garantita dalla custode signora Dora al numero di tel.: 0862.93765. 

Dall'Autostrada A24 (Roma-Teramo) uscire a L'Aquila est e proseguire in direzione San Demetrio-Fagnano Alto-Caporciano-Bominaco. Provenendo dall'autostrada A25 (Pescara-Torano) uscire a Bussi-Popoli, proseguire lungo la SS17 in direzione Navelli e seguire poi le indicazioni per Caporciano. 
Provenendo da Napoli invece, dall'autostrada A1, uscire a Caianello e seguire poi le indicazioni per Roccaraso - Sulmona - L'Aquila - Caporciano - Bominaco.


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sabato 26 ottobre 2013

Le storie fantastiche di Lama dei Peligni

Lama dei Peligni è un paese nella valle dell’Aventino, alle pendici del monte Amaro, abitato sin dalla preistoria.
Le prime notizie del borgo medievale si hanno nel secolo XII.

Immerso in un contesto naturale di rara bellezza, nell’Oasi Majella Orientale, si trova a pochi passi dalle famose grotte del Cavallone, luogo immortalato dal Vate D’Annunzio che vi ambientò la tragedia della Figlia di Jorio.

Da non perdere in centro, la parrocchiale cinquecentesca di San Nicola con il suo bel loggiato.
È una parte d’Abruzzo, dove leggende e tradizioni si tramandano nei secoli.

Secondo un’antica credenza, tramandata oralmente dai vecchi abitanti del paese, le gigantesche rocce che si ergono tortuose e dolenti dal terreno, nel cuneo che porta al grande anfratto della grotta, erano mostri pietrificati.
Questi animali popolavano il pianeta prima della comparsa degli uomini.

Una di quelle pietre mastodontiche prese la forma di un enorme cavallo, simbolo di libertà e di una natura che non cede alla dominazione degli esseri viventi.
Da qui il nome dato al complesso ipogeo del “Cavallone”.

Sono soprattutto sacre le storie incredibili che ruotano intorno a questo paese dal sapore leggendario.

Una di queste narra di una statua, neanche molto pregiata, dedicata alla Madonna della Misericordia, un’opera in stucco dipinto del secolo XVIII, attribuibile a una bottega di maestri lombardi che da queste parti e ancor più nella vicina Taranta Peligna, hanno lasciato più di un lavoro artistico.

L’esemplare che oggi si conserva nell’abside della chiesa dei Minori Osservanti di Lama non sarebbe neanche originale ma una brutta copia di una statua lignea andata distrutta nel corso dei bombardamenti della seconda guerra mondiale.
La particolarità è che questa statua sarebbe miracolosa.

Anzitutto si rifiuterebbe di uscire dalla sua nicchia e poi da quel posto, dove si trova, sarebbe in grado di proteggere il paese.
Si narra che molti anni fa, nei giorni di festa a Lei dedicata, la Madonna fu portata dai Lamesi in processione.

Dopo pochi minuti si scatenò una tempesta d’inaudita potenza che scrosciò acqua in quantità paurosa dai valloni della Majella.
L’abitato era in serio pericolo.
La processione tornò indietro e quando la statua fu riposta nella nicchia, di colpo la tempesta scomparve.

Questa tradizione non è soltanto orale ma è riportata anche in un vecchio e interessante libro di Francesco Verlengia sulle tradizioni abruzzesi, edito nel 1958.

La singolare circostanza è che esisterebbe sempre a Lama, un’altra Madonna che invece ama circolare in lungo e largo nei paesini del comprensorio.
Parlo della Madonna dei Corpi Santi, raffigurata con mano un fiore e nell’altro braccio, ricurvo, il Bambino.

La statua veste di rosso con ricami in oro ed è coperta da un manto azzurro trapunto di stelle argentee.

La festa della Madonna si svolge nell’ultima domenica di agosto e accorrono fedeli da ogni parte della valle dell’Aventino.



La leggenda racconta che questa figura di Vergine era originariamente custodita nella chiesa di Montemoresco presso Torricella Peligna.
Da qui la statua era scappata e fu ritrovata, settimane dopo, in una piccola cappella nei soprastanti monti Pizii.
La statua camminò ancora per ricoverarsi nella chiesa madre di Gessopalena.

I gessani fecero grandi feste alla Madonna miracolosa, gioiosi che aveva scelto il loro paese come sua casa.
Si decretò una fiera da celebrarsi ogni anno in onore della Vergine.
La Madonna, inquieta però, tornò a camminare due anni dopo.
Fu ritrovata in un campo da un contadino di Lama dei Peligni.
In mezzo ai rovi pungenti vide il manto rosso della mamma di Gesù e il brillare dei gioielli con cui l’avevano agghindata gli abitanti di Gessopalena.
Così fu portata nella chiesa di Santa Croce, tra i mugugni degli abitanti dei borghi vicini che videro questa cosa come una sorta di furto perpetrato nei confronti di Gessopalena.

La Madonna non si mosse più da Lama e anzi pare che protesse il paese anche dal terremoto disastroso del novembre 1706 che abbatté gran parte dell’abitato e che nonostante tutto non fece un grande numero di vittime così come poteva far supporre l’entità della scossa tremenda.

La Madonna, secondo molti abitanti, ancora oggi benedice le nascite e i matrimoni, veglia infermi e moribondi, protegge i pastori.

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Come arrivare a Lama dei Peligni:

Dall'autostrada Adriatica A14 (da nord: in direzione di Ancona; da sud: in direzione Pescara), uscire a Val di Sangro, seguire la direzione Villa S. Maria, prendere la SS 652, continuare sulla SS 84 in direzione Casoli/Lama dei Peligni.

Da Chieti: Percorrere la SS 81 in direzione di Guardiagrele, proseguire sulla SS 84 in direzione Casoli/Lama dei Peligni.

Da Pescara: Percorrere la SS 16 in direzione di Chieti, continuare sull'autostrada A 14 in direzione Bari, uscire a Val di Sangro, seguire la direzione Villa S. Maria, prendere la SS 652, continuare sulla SS 84 in direzione Casoli/Lama dei Peligni.


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venerdì 25 ottobre 2013

“Sulmo mihi patria est”: La città dove Ovidio cantò

La piana della valle Peligna, illuminata dal sole dell’autunno, ha una luce straordinaria.
Gli altopiani, piccoli o grandi, in Abruzzo sono tutti straordinariamente belli e in qualsiasi stagione.

Il fiume Aterno segue placido il serpentone di curve.

In certi punti della statale pare prendere il sopravvento sul cemento, con le sue cascatelle d’acqua e le fresche ombre dei pioppeti lungo l’argine.

Se riuscissimo a interrompere la corsa frenetica col tempo e lo spirito si dilatasse ad abbracciare sereno i fianchi del monte Morrone con i borghi arroccati, le umili chiese, gli antichi casolari, i castelli, ne gioverebbe di molto la nostra vita.

Raiano, il paese amato da un giovane Benedetto Croce che passava in un’antica casa colonica le sue calde giornate d’estate, ancora oggi offre il suo bel campionario di persone dai volti quadrati.
Sono però le fronti basse, volitive e i toraci capaci, a tradire l’appartenenza a coloro i quali lavorano e amano la propria terra.

E pensare che in questi luoghi ameni, un considerevole numero di abruzzesi non sono mai passati.
Molti di questi contadini si recano a Sulmona ogni giorno a far mercato tra teste di agli e cipolle, frutta e verdura.

La valle è da vivere senza fretta, assaggiando bontà culinarie a base di zafferano, carne di pecora, vini eccellenti, con l’intento di scoprire borghi antichissimi, tipo Pacentro, Introdacqua di origini altomedievali con il suo fortilizio a pianta quadrata e Corfinio.

Quest’ultimo paesino è stato la mitica capitale della Lega dei popoli Italici contro Roma.

Furono proprio i paesi del sulmonese, Popoli, Tocco e gli altri a dichiarare guerra ai Romani, neanche a dirlo, dopo che Sulmona aveva dato i natali al grande Ovidio.

Arrivo in città che già so di dover tornare nuovamente per darvi conto dell’affascinante eremo celestiniano che se ne sta incassato a nido d’aquila, su di una roccia della montagna, aspettando una mia visita.
Sotto lo sperone di roccia che ospita il luogo sacro, c’è l’immensa badia del Santo Spirito, ricco monastero e cenobio di spiritualità dell’ordine monastico dei Celestini sin dai primi anni del duecento.

Anche il monumentale santuario dedicato al culto di Ercole, del I secolo a.C., divinità italica protettrice dei pastori e delle greggi, con i suoi innumerevoli reperti tornati alla luce dalla notte dei tempi, merita ore e ore di attenzione.

Da secoli è lì e alimenta ancora leggende di maghi e stregoni tra polle d’acqua, boschetti di annose querce abitate da divinità, spelonche di asceti nella montagna sacra, casa anni dopo di Pietro Angelerio da Isernia, futuro papa del gran rifiuto dantesco.

Il temporale così come è venuto se n’è andato, lasciando in terra pozzanghere grandi a riflettere il cielo, ora azzurro intenso lavato a nuovo e pronto a regalare emozioni.

La montagna del Morrone è di un verde ancor più forte e le sue pendici sono inondate di un chiarore che le rende color argento.
Una quadricromia incredibile a rendere Sulmona ancora più bella se possibile.
La città dei confetti che diede i natali al poeta dell’amore, Publio Ovidio Nasone, uno degli artisti più sensibili e raffinati del suo tempo, è una bomboniera nell’Abruzzo che non finisce mai di stupire.

Dopo aver scoperto la splendida Rotonda di San Francesco mi trovo ora in piazza Plebiscito nel cuore del centro storico dove si erge l’interessante chiesa di Santa Maria della Tomba .

L’edificio sorge su di un antico tempio pagano dedicato a Giove Pluvio e capisco il perché da queste parti la pioggia è di casa.

Qui si dice, ma nessuno lo conferma, che fosse ubicata la grande villa dove Ovidio creava le sue odi d’amore.


Non è certa la notizia, così come non è certa la data in cui sorse la chiesa, fondata, questo si, su di un disegno di Nicola Salvitti.
La costruzione dovrebbe risalire al 1060, anno in più, anno in meno.

La facciata, per chi ama l’arte, è d’impostazione romanico gotica con uno splendido rosone del ‘400 che riempie gli occhi.
Fu commissionata questa singolare opera che arricchisce il tempio, dalla nobildonna Pelma del casato degli Amabili.
Pare che la signora amasse così tanto l’arte da concedersi a coloro i quali realizzassero per lei opere immortali.

Accanto alla chiesa e sempre nel ‘400 circa, venne costruito un edificio ospedaliero per indigenti, grazie alla confraternita che oltre a gestire la struttura, nel secolo dopo aiutò all’edificazione del campanile, seconda metà del XVI secolo.

L’interno si lascia ammirare con le sue tre navate ad arcate a tutto sesto, soffitto a capriate, e questo è il motivo per cui tante coppie chiedono di convolare a nozze in questo luogo ambito dove sui muri si ammirano piccoli resti di opere pittoriche del trecento.

La piazza del mercato poi è uno spettacolo nello spettacolo.
La mercanzia ha un’esposizione che pare studiata a tavolino.

Le donne che vengono da ogni dove, hanno i volti rosei di chi lavora all’aria aperta. Formaggi, olio e frutta regalano profumi e gioia agli occhi.

Lungo il corso si snoda la fantasia incredibilmente fervida dei maestri confettieri sulmontini, ricca di estro che si manifesta fra mille colori di cestelli, grappoli e fiori di ogni tipo e gusto.
Invenzioni fantastiche che puoi trovare solo qui, nella patria del confetto.

Nella piazza centrale la statua di Ovidio, il Vate peligno che cantava “Sulmo mihi patria est” sembra quella di un santo cristiano che indica le cose belle create da Dio.

Ovidio Nasone e la sua eterna poesia, che si sublima nelle metamorfosi e negli amori, permeano di sé tutta la cittadina.
A lato c’è un uomo buffo che pare uscito dal meraviglioso paese di Alice.
Piccolo, grasso con due grandi baffi bianchi e folti capelli ricci argento vende caldarroste.
L’autunno regala le sue delizie.

Mentre visito la città, ovunque si aprono squarci su ampi e suggestivi scenari montani che fanno da cornice alla ricchezza monumentale di quest’antico centro storico.

Sulmona, l’antico municipio peligno di Roma deve le sue fortune storiche per la felice posizione geografica, all’incrocio tra l’arteria Claudia Valeria, la “Via degli Abruzzi” del commercio tra Firenze e Napoli e il grande tratturo Celano Foggia, autostrada d’erba della transumanza fin dall’Età del Bronzo.

Imperdibile la visita al Museo Civico con i suoi resti di epoca italica, l’antichissimo acquedotto romano in ottimo stato e il Duomo con la cripta.
Forse il monumento sacro più spettacolare è però la chiesa dell’Incoronata, fuori il centro, un tempo dedicata alla Madonna della Croce, la Vergine nera alla quale le donne affidavano per la protezione gli uomini che partivano con le greggi verso il Tavoliere della Puglia.

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Sulmona è raggiungibile attraverso l'autostrada A25 (uscita "Sulmona-Pratola Peligna") che la collega a Roma (2 ore) e a Pescara (50 minuti). 
Un'altra strada a scorrimento veloce è la S.S.17 che collega Sulmona a Napoli e L'Aquila e la Tiburtina (da Roma a Pescara).
Per chi arriva dal sud non ci sono problemi: l'A14 Adriatica per chi arriva da Termoli, Foggia, Bari e Lecce; per chi arriva dal Tirreno conviene arrivare a Napoli e poi proseguire lungo la S.S.17.



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giovedì 24 ottobre 2013

Il buco orrido della "Figlia di Jorio": le grotte del Cavallone

Una poiana vola alta nel cielo, figlia della terra e dell’azzurro.
Mi fermo un attimo a guardarla, poi il controluce impietoso del pomeriggio la cancella dalla mia vista.
Ho giusto il tempo d’invidiarne la leggerezza, l’eleganza, la libertà che ogni colpo d’ala dichiara al mondo apparentemente immobile di sotto.

Sul tronco di un albero un non meglio identificato Renzo, ha consegnato all’eternità il suo amore per Anna, intagliando sulla corteccia i nomi dentro un cuore sbilenco.

Il complesso ipogeo della grotta del Cavallone è immerso in un grandioso, selvaggio, aggiungerei drammatico scenario naturale.

L’impianto a fune risale un aspro vallone a picco su Taranta Peligna, un solco immane che è quasi il prologo dell’ingresso in un mondo misterioso ricco di riferimenti leggendari e anche culturali.

È possibile utilizzarlo solo d’estate, meglio fare riferimento in luglio e agosto.

Si eleva poco sopra al difficile sentiero tutto in salita che è possibile percorrere con gran fatica dato il dislivello.

Per conquistare a piedi le grotte, occorrono due ore in salita e poco meno in discesa.

Entro in questo respiro di sempreverdi e di rocce marroni con il mio piccolo zaino e la mantella per la pioggia.
Su di un ramo che posso quasi toccare dalla piccola piattaforma che mi ospita, ecco il lampo nero di uno scoiattolo.
Sopra le punte degli alberi più alti, uccelli in formazione partono come frecce tricolori.
Immagino serpenti struscianti nascosti sotto i grossi macigni ai lati del percorso dal terreno roccioso.

Nell’antro della figlia di Jorio, denominato del Cavallone per la forma vagamente equina della roccia che sovrasta il grande buco nella pietra, Gabriele D’Annunzio vi ambientò mirabilmente il secondo atto della sua opera forse più famosa.

Il noto pittore Michetti, completò raffigurando la donna con sapienza e creando una fantastica scenografia.

Arrivati alla fine del percorso di cabinovia, in un ambiente che via via si è fatto sempre più severo, con pochi cespugli stentati a disputarsi il diritto alla vita, quasi alla testa della valle, c’è da percorrere un breve sentiero di circa venti minuti.

Porta alla base di una verticale parete rocciosa che si scala agevolmente grazie a una lunga serie di gradini coperti con parapetto di sicurezza per i visitatori.

La guida attende all’ingresso dell’antro per accompagnarci nei tre chilometri ricchi di concrezioni calcaree, alcuna delle quali, racconta l’uomo, è stata danneggiata durante l’ ultima guerra, quando le grotte servirono da nascondiglio della popolazione.

Tutta questa parte d’Abruzzo, assoluta linea maginot da qui e fino a Ortona, è stata martoriata dalle armate tedesche.
L’ambiente è comunque fiabesco, immerso tra sale di alabastro, colonne di stalattiti, stalagmiti pendenti.

Davanti agli occhi emozionati dei turisti gli ambienti naturali ricordano, nei nomi, tutto il meglio della grande lirica del Vate: Aligi, Splendore e Ornella, sala delle Fate.

Una serie di minuscoli laghetti, cascate di pietre frantumate tra camminamenti a volte poco agevoli, scalette tra pozzi neri di cui non si scopre il fondo, inquietano, quasi opprimono l’anima fin quando non si torna alla luce del sole, riaffacciandosi sull’orrido vallone dalla sua parte sommitale.

Forse non rimarrà quasi nulla delle nozioni sciorinate dalla guida, i sommovimenti geologici nei millenni, la difficile chimica del carsismo e i suoi prodotti all’ambiente.

Di certo negli occhi rimarrà indelebile il panorama in discesa, incassato tra due aspre pareti, con davanti le cime dei monti Pizii, la piana di Juvanum nell’Aventino.

Sicuramente nel cuore si porterà il senso di stupenda solitudine di questo fantastico lembo d’Abruzzo!

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Le grotte del Cavallone si raggiungono attraverso la statale frentana 84 che unisce San Vito Marina, nella costa dei Trabocchi, a Roccaraso.
A circa due chilometri da Lama dei Peligni, oltrepassata una galleria, si prende una deviazione segnalata che in meno di un chilometro conduce al piazzale della cabinovia.


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mercoledì 23 ottobre 2013

Nel silenzio di Sant’Irene a Catignano

Il silenzioso diventa fonte di grazia per chi ascolta! (San Basilio)

Il silenzio regna sovrano.
Potrebbe quasi dare fastidio in una società che come afferma Max Picard, ha l’uomo come appendice del rumore.
Invece questo luogo sacro è il posto ideale per ritrovare anche solo un briciolo della propria umanità attraverso la riscoperta dell’antichissima arte di “ascoltare il silenzio”.

Nell’entrare all’interno del convento di Santa Irene, a poca distanza da Catignano nel pescarese, tornano alla mente le parole di Eraclito che ai suoi tempi così lontani da noi già si lamentava dei suoi simili “incapaci di ascoltare, capaci solo di parlare”.
Questo santuario è la palestra del silenzio, l’esaltazione dell’essenzialità del silenzio.
È come riscoprire d’un tratto la propria vita interiore, quella autentica che credevamo persa.

Bella la lunetta che sormonta l’entrata dove si trova un bassorilievo di S. Anna con Maria Bambina che ricorda come la chiesa fosse inizialmente dedicata alla Natività della Madonna.

La particolarità della scultura è nei tre fori che si trovano sulla fronte della madre della Vergine a rappresentare la lungimiranza, dal petto della dolcissima Bambina a significare la coscienza e dai piedi delle due donne a simboleggiare la materia e la vita terrena.

Dicono fossero aperture che contenevano gemme preziose che brillavano al sole dando l’impressione di un qualcosa di vivente a chi si approssimava al portale.

Le pietre trafugate dai soliti ignoti, non sono state mai ritrovate.
Scopro attraverso un foglietto posto a lato dell’ingresso, che questo è un tempio censito da un singolare sito internet che si chiama LuoghiMisteriosi.it.

L’edificio in stile abbaziale romanico, dedicato alla santa vergine e martire, custodisce intanto mirabilmente, dall’anno 1847 in un’urna in vetro, le spoglie di questa giovane, recuperate dalle catacombe di Priscilla a Roma, inoltre ha una storia sontuosa che parte dalla realizzazione dei benedettini alla fine dell’XI secolo.

Qualcuno ipotizza anche un intervento precedente da parte dei cistercensi, di cui si notano tracce disseminate nelle tre navate.
Che le spoglie siano autentiche lo testimonia da una lettera del Cardinale Zurla che all’epoca certificò al cappuccino Padre Enrico che le ossa erano proprio della donna martirizzata per il Signore.


La chiesa, che ha avuto notevoli trasformazioni nei secoli, fu ripristinata definitivamente nel 1949 grazie alla Soprintendenza ai Monumenti e Belle Arti dell’Aquila.

A rendere tutto misterioso ci sono, disseminati ovunque, simboli antichi a cominciare da quello importantissimo detto “Sandalo del Pellegrino”.
Era una sorta di firma in pietra di chi aveva affrontato chilometri a piedi per vivere un pellegrinaggio di redenzione.

Preso da incontenibile voglia di scoperta, non sento neanche i passi dietro di me.
Pochi attimi dopo faccio conoscenza con un personaggio affascinante, Fra Giuseppe Antonio da Otranto.

Si tratta di un giovane che da alcuni anni è immerso in studi teologici negli istituti dei Padri Amigoniani che dal 1936 gestiscono come Terziari Cappuccini dell’Addolorata un centro di formazione spirituale nel convento accanto alla chiesa.

La sua voce stentorea m’introduce mirabilmente nei segreti di questo luogo incredibilmente affascinante.
Ecco che ai miei occhi si palesano i “Fiori della Vita”, simboli templari, a sei petali circoscritti in una circonferenza.

Il giovane frate, preparatissimo, mi ricorda che questo segno antichissimo era denominato anche “Sesto giorno della Genesi”, a richiamo perenne della grandezza del Creato e del suo Creatore.

Mi mostra poi degli enigmatici graffiti che riporterebbero un simbolo tra i più antichi al mondo: “La Triplice Cinta”, incastro di quadri attraversati da linee parallele.

Secondo la tradizione templare questo era, in virtù della presenza di queste incisioni sulle pietre, un luogo di enorme sacralità e ad alta carica energetica contenuta nei suoi sottofondi.

Le parole di questo incredibile terziario sono ferme ma parlano il linguaggio dell’amore verso gli altri, di una profondità d’animo di chi si appresta a diventare presbitero.

Usciamo sul retro della chiesa e nella bella parte absidale compaiono inquietanti mascheroni in pietra con volti umani e animali, guardiani posti a intimorire chi volesse entrare senza aver fede nel mistero grande di Dio.

Ma tu non devi temere - mi dice- ho già captato che sei molto credente!
E mi regala una bella immagine della giovane Irene che fece sua l’affermazione di Ignazio di Antiochia che disse: “Cristo è la Parola che procede dal silenzio, facendo risuonare dentro di se la necessità della presenza di Dio”.

Nell’andare via porto con me anche un’interessante pubblicazione a cura dello scrittore Fabio Ponzo che riassume tutte le notizie incredibili di questo luogo santo.
Proprio vero.

Sono questi posti, nascosti ai più, che aiutano a diminuire il prestigio del linguaggio e ad aumentare quello del silenzio.

Arrivare a Catignano:
Dall'autostrada Adriatica A14 (da nord: in direzione di Ancona; da sud: in direzione Pescara), seguire la direzione Pescara Ovest/Chieti, A 24 per L'Aquila, A 25 per Roma, SS 81 direzione Penne, svoltare sulla SS 602 e percorrerla fino a Catignano.

Da Pescara
Percorrere la SS 16 in direzione Chieti, seguire le indicazioni per la SS 81 direzione Penne, svoltare sulla SS 602 e proseguire fino a Catignano.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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martedì 22 ottobre 2013

Il crinale Aprutino- Piceno: la via del vino su due ruote!

Tempo di vendemmia.
E allora, passeggiata in bici del professor Lucio De Marcellis con la signora Angela, sua moglie, del Coordinamento Ciclabili teramane, alla scoperta di un bel crinale al confine tra Abruzzo e Marche, una zona di vitigni e di ottimo vino.

Il percorso collinare su cui viaggiamo, in sella alla fidata bici, è stato battezzato “il Crinale Aprutino-Piceno”, in assonanza all’itinerario marchigiano chiamato “Il Crinale dei Piceni”.

Questa gita che andiamo a proporre, in collaborazione con gli amici delle associazioni ambientaliste, è una fantastica cavalcata che porta nel cuore di una delle “vie del vino” più importanti dell’intero Abruzzo.

Ci s’immerge nella vita di campagna, si scoprono facilmente antiche tecniche di lavorazione, visitando aziende centenarie, si raggiungono borghi incantati dai panorami fantastici e storici.
Di qui sono passate le orde dei barbari per recarsi a combattere contro Roma, qui Annibale ha ritemprato le sue truppe prima di giungere a Canne di Puglia per vincere la famosa battaglia, oggi rievocata in tutti i libri di storia.

Sono questi dei luoghi legati insieme dal “filo rosso” del Montepulciano e dal “gomitolo bianco” del Trebbiano, colossi della nostra produzione vinicola.
I ciclisti più allenati possono partire dalla costa adriatica: Villa Rosa o Alba Adriatica.

Il primo obiettivo sarà raggiungere Colonnella.

Tra i diversi itinerari più o meno duri, è stato scelto quello che parte a poche centinaia di metri a nord della rotonda sulla statale sedici di Alba Adriatica e che passa in località Rosati.

Al bivio di partenza la segnaletica indica la località Civita.
Man mano che ci si alza il panorama diventa meraviglioso, tra campagne, casali, viste sul mare e sulle colline circostanti.
Dopo sei chilometri dalla diramazione sulla statale 16, si giunge al primo centro importante della “via del vino”: Colonnella.

È un luogo bellissimo, tutto da vivere, con un panorama incantevole e aria salubre.
Il borgo è fatto di antichi palazzi, intrecci di viuzze, scalinate e piazzette caratteristiche.
Da qui in avanti il percorso è tutto da godere: inizia il crinale, sul quale la strada presenta un lieve saliscendi, alla portata di tutti.

Dall’alto si domina tutta la vallata del Tronto.
La successiva tappa è a Controguerra, che dista a 7 km.

Terra di grandi cantine come le aziende Monti e Illuminati, il bel paese dell’estremità settentrionale d’Abruzzo, offre la visita al Palazzo Ducale degli Acquaviva e al torrione medievale che domina la valle.
Sarebbe vivamente consigliata una deviazione per visitare Corropoli, celebre per la sua badia e per il palio delle botti, rievocazione medievale della disfida tra contrade, in onore della regina Isabella d’Aragona.
Si potrebbe deviare anche per Nereto o Torano Nuovo, riguadagnando in breve la costa.

Il percorso del crinale invece prosegue verso Ancarano, dal caratteristico centro storico, costruito su di un grande tempio dedicato alla Dea Ancaria.
Oggi vi spicca la parrocchiale della Madonna della Pace, al cui interno si conserva una bella effige della Vergine e le reliquie di San Simplicio patrono.

Interessante vedere la casa natale di Giuseppe Flaiani, medico famoso per i suoi studi sulla tiroide che rappresentano certezze scientifiche ancora oggi.

Il crinale ora si abbassa verso il fondovalle e ci porta a Sant’Egidio alla Vibrata.
Borgo antichissimo, la storia racconta di dure dominazioni longobarde del territorio conteso tra i ducati di Spoleto e di Benevento.
Gli insediamenti barbari si notano grandemente nel minuscolo paese abbandonato di Faraone, antico feudo di Berardo di Castiglione in posizione strategica sul fiume.
Sant’Egidio, insieme alla vicina Civitella del Tronto fu insignita dell’onorificenza di “città reale”.

Da questo luogo pregno di storia, si può tornare sulla costa adriatica pedalando sulla pianeggiante Val Vibrata in direzione di Garrufo (l’antica Castrum Rufi), Nereto e quindi Alba Adriatica.

Un’alternativa interessante è scendere nella vallata del Tronto e far ritorno al mare percorrendo la strada provinciale n. 1 nota come la Bonifica del Tronto.

Chi ha gambe allenate e vuole proseguire, può sconfinare nelle Marche ascolane risalendo leggermente a Maltignano e poi planare sulla valle a Marino del Tronto o addirittura raggiungere Ascoli Piceno, tra colori meravigliosi di colline incantate.


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lunedì 21 ottobre 2013

La torre triangolare a guardia della valle a Montegualtieri

“Fino a che non siamo chiamati ad alzarci, non conosciamo la nostra altezza, ma se ci alziamo davvero, arriva al cielo la nostra statura”. (E. Dickinson)

Non tutti sanno che nell’intero Abruzzo, le torri triangolari sono solamente due.

Uno di questi manufatti di origine altomedievale, denominato“Sutrium”, si trova a Bussi sul Tirino, non lontano da Santa Maria di Cartignano, dove rimangono solo pochi ruderi di una grande chiesa benedettina a tre navate, separate da arcate a tutto sesto, con pilastri quadrati e abside semicircolare.

L’altra torre si trova a pochi chilometri da Teramo e si presenta in tutta la sua magnificenza dopo un accurato restauro terminato nel 1976.

Ho deciso di raggiungerla!
È a pochi chilometri da casa.

Il borgo che ospita questa vedetta, Montegualtieri, frazione di Cermignano, è abbarbicato su di uno sperone roccioso a guardia della vallata del fiume Vomano, lungo il fianco di una delle tante colline.
Il minuscolo paese che oggi conta poco meno di cento abitanti, in origine aveva il nome di “Mons Sancti Angeli”, poi prese l'attuale denominazione da Gualtieri, signorotto che ne fu il possessore.

Dagli oltre diciotto metri di altezza della torre d’avvistamento, che poggia su di un basamento poderoso e alla sommità presenta una pregevole merlatura, è possibile ammirare un panorama grandioso che spazia dal Gran Sasso al mare.

La torre triangolare che dovrebbe risalire al Trecento e che ha pochi eguali in Italia, forse fu edificata così per ragioni logistiche, perché sufficiente con i suoi tre lati, a svolgere il compito di guardia alla valle.

Gli esperti tendono a giudicare poco probabili motivazioni di spazio o di tecnica costruttiva.
Questo fortilizio, insieme a Castelbasso, Castellalto e Morro d'Oro, era parte integrante della rete di comunicazioni ottiche per la difesa del territorio e garantiva un valido ed efficace sistema di
controllo.

Servì essenzialmente come postazione di avvistamento e di collegamento nel sistema difensivo.

Sotto di essa, nella vallata, passava la Salaria Caecilia, il cui percorso costeggiava Amiternum, nella piana di L'Aquila e raggiungeva anche Hatria, l'odierna Atri e poi la costa teramana.
In più, a lato del fiume Vomano c’era l’importante arteria che univa Ascoli Piceno con Penne, tra le più vetuste vie di comunicazione d’Abruzzo.

Internamente la torre di Montegualtieri era percorsa da una scalinata a chiocciola, in seguito distrutta da un fulmine che causò anche il crollo di uno spigolo della costruzione.

Le sue tre facce presentano contrafforti di diversa altezza, uno dei quali giunge fino alla sommità, dove un apparato sporgente delimita il cammino di ronda.
Le pareti presentano, oltre ai fori dei ponteggi, diverse altre aperture.
Si sa con certezza che per un lungo periodo, il manufatto fu di proprietà della nota famiglia dei Marchesi de Sterlich, signori di Cermignano e Castilenti, già proprietari negli anni venti della Torre di Cerrano a Pineto.

In seguito fu alienata da Diego de Sterlich Aliprandi, figlio di Adolfo, presidente del Senato del Regno d’Italia.
Era soprannominato il “marchese volante” per la sua irrefrenabile passione per la Maserati e per le gare automobilistiche che lo portarono a fondare l’autodromo di Monza e a confrontarsi con piloti come Nuvolari, Ferrari e Materassi.

La tradizione orale del popolo, attribuisce da secoli misteri e leggende alla torre di Montegualtieri che nasconderebbe nel suo interno, trabocchetti, sotterranei e persino un fantasma che negli anni ’60 terrorizzava gli abitanti dei dintorni con rumori infernali di catene trascinate.

Sarebbe stata l’anima sconsolata di una giovane e bellissima donna, moglie di uno dei tanti signori che ebbero potere su Cermignano e dintorni, che vagava nei luoghi della sua esistenza terrena.

Un giorno il marito, ossessionato dalla gelosia, la uccise trascinandola per i capelli e facendola precipitare dalla finestrella più alta della torre.

Alcuni camminamenti, scoperti negli anni ‘80 in diverse case più antiche del paese, farebbero supporre l’esistenza di un lungo cunicolo di fuga che dal piccolo castello, originariamente collegato alla torre, scendeva verso il fiume.

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Percorrere la S.S 150 Roseto degli Abruzzi- Montorio al Vomano, fino all'abitato di Castelnuovo. 
Svoltare in direzione Cermignano, Cellino Attanasio. 
Dopo il ponte sul fiume, girare a destra per Montegualtieri a cinque chilometri. 


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domenica 20 ottobre 2013

Castel Menardo, antica fortificazione cassinese sull’Alento!

Nel mio vagabondare alla ricerca del bello in Abruzzo, una tappa imperdibile è il territorio di Serramonacesca, in provincia di Pescara.
Della splendida abbazia di San Liberatore a Majella, ho raccontato in altra parte del blog, insieme all’eremo di S. Onofrio, raggiungibile con una semplice passeggiata di venti, trenta minuti.

È questo il periodo forse più bello per scoprire dei posti meravigliosi, immersi nei boschi che si stanno per colorare delle tinte incredibili dell’autunno.

C’è un monumento, però di cui dobbiamo fare conoscenza.
 È la cortina muraria dell’antico Castel Menardo.
Posto in posizione dominante sulla bella valle del fiume Alento, i resti sono evidenti e interessanti da scoprire.

La rocca fu eretta per assicurare la difesa dell’abbazia benedettina.
Nonostante ciò il luogo sacro subì in più guerre, disastri spaventosi fino a essere distrutta sul finire del XV secolo.
La fortificazione è caratterizzata da un impianto triangolare ancora perfettamente riconoscibile.

In una delle sue estremità s’innesta in un corpo quadrangolare mentre, nei restanti vertici liberi, si trovano due torri circolari i cui resti si fanno ancora ammirare.

Con un po’ di attenzione il visitatore riesce anche a individuare i due enormi portali che un tempo davano accesso alle numerose arciere poste lungo la cortina di pietra, evidenziando tutto il carattere difensivo del manufatto.

Il Castel Menardo, per gli appassionati, può essere fonte di studio essendo stato accostato ad alcune fortificazioni cassinesi che hanno fatto tendenza nell’architettura difensiva del medioevo per la singolare accuratezza costruttiva delle murature.

Insomma la rocca, collocata in una spettacolare ambientazione, testimonianza storico culturale d’indubbio valore, potrà regalarvi una gita interessante.
Tornando all’abbazia, vale la pena di terminare la giornata con una bella passeggiata lungo il fiume per scoprire angoli incantevoli e inquietanti tombe rupestri, buchi nella pietra dove incredibilmente vivevano gli asceti in continua preghiera.

I tesori di Serramonacesca si raggiungono attraverso la A25 Pescara Sulmona, uscita Scafa, poi S.S. 539.


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