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giovedì 24 ottobre 2013

Il buco orrido della "Figlia di Jorio": le grotte del Cavallone

Una poiana vola alta nel cielo, figlia della terra e dell’azzurro.
Mi fermo un attimo a guardarla, poi il controluce impietoso del pomeriggio la cancella dalla mia vista.
Ho giusto il tempo d’invidiarne la leggerezza, l’eleganza, la libertà che ogni colpo d’ala dichiara al mondo apparentemente immobile di sotto.

Sul tronco di un albero un non meglio identificato Renzo, ha consegnato all’eternità il suo amore per Anna, intagliando sulla corteccia i nomi dentro un cuore sbilenco.

Il complesso ipogeo della grotta del Cavallone è immerso in un grandioso, selvaggio, aggiungerei drammatico scenario naturale.

L’impianto a fune risale un aspro vallone a picco su Taranta Peligna, un solco immane che è quasi il prologo dell’ingresso in un mondo misterioso ricco di riferimenti leggendari e anche culturali.

È possibile utilizzarlo solo d’estate, meglio fare riferimento in luglio e agosto.

Si eleva poco sopra al difficile sentiero tutto in salita che è possibile percorrere con gran fatica dato il dislivello.

Per conquistare a piedi le grotte, occorrono due ore in salita e poco meno in discesa.

Entro in questo respiro di sempreverdi e di rocce marroni con il mio piccolo zaino e la mantella per la pioggia.
Su di un ramo che posso quasi toccare dalla piccola piattaforma che mi ospita, ecco il lampo nero di uno scoiattolo.
Sopra le punte degli alberi più alti, uccelli in formazione partono come frecce tricolori.
Immagino serpenti struscianti nascosti sotto i grossi macigni ai lati del percorso dal terreno roccioso.

Nell’antro della figlia di Jorio, denominato del Cavallone per la forma vagamente equina della roccia che sovrasta il grande buco nella pietra, Gabriele D’Annunzio vi ambientò mirabilmente il secondo atto della sua opera forse più famosa.

Il noto pittore Michetti, completò raffigurando la donna con sapienza e creando una fantastica scenografia.

Arrivati alla fine del percorso di cabinovia, in un ambiente che via via si è fatto sempre più severo, con pochi cespugli stentati a disputarsi il diritto alla vita, quasi alla testa della valle, c’è da percorrere un breve sentiero di circa venti minuti.

Porta alla base di una verticale parete rocciosa che si scala agevolmente grazie a una lunga serie di gradini coperti con parapetto di sicurezza per i visitatori.

La guida attende all’ingresso dell’antro per accompagnarci nei tre chilometri ricchi di concrezioni calcaree, alcuna delle quali, racconta l’uomo, è stata danneggiata durante l’ ultima guerra, quando le grotte servirono da nascondiglio della popolazione.

Tutta questa parte d’Abruzzo, assoluta linea maginot da qui e fino a Ortona, è stata martoriata dalle armate tedesche.
L’ambiente è comunque fiabesco, immerso tra sale di alabastro, colonne di stalattiti, stalagmiti pendenti.

Davanti agli occhi emozionati dei turisti gli ambienti naturali ricordano, nei nomi, tutto il meglio della grande lirica del Vate: Aligi, Splendore e Ornella, sala delle Fate.

Una serie di minuscoli laghetti, cascate di pietre frantumate tra camminamenti a volte poco agevoli, scalette tra pozzi neri di cui non si scopre il fondo, inquietano, quasi opprimono l’anima fin quando non si torna alla luce del sole, riaffacciandosi sull’orrido vallone dalla sua parte sommitale.

Forse non rimarrà quasi nulla delle nozioni sciorinate dalla guida, i sommovimenti geologici nei millenni, la difficile chimica del carsismo e i suoi prodotti all’ambiente.

Di certo negli occhi rimarrà indelebile il panorama in discesa, incassato tra due aspre pareti, con davanti le cime dei monti Pizii, la piana di Juvanum nell’Aventino.

Sicuramente nel cuore si porterà il senso di stupenda solitudine di questo fantastico lembo d’Abruzzo!

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Le grotte del Cavallone si raggiungono attraverso la statale frentana 84 che unisce San Vito Marina, nella costa dei Trabocchi, a Roccaraso.
A circa due chilometri da Lama dei Peligni, oltrepassata una galleria, si prende una deviazione segnalata che in meno di un chilometro conduce al piazzale della cabinovia.


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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