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domenica 27 dicembre 2015

Nell'antico borgo delle aquile: Castrovalva!

"Ad Anversa restano i ruderi di un palazzo edificato da un De Sangro. Scritto al Sindaco per sapere se tra le pietre vi sia lo stemma gentilizio della famiglia. (Esiste un'iscrizione già nota). Un signor Di Gusto mi risponde che non si trova alcuna traccia di stemma. Ora, tu che sai tutto, potresti indicarmi lo stemma ..."
Gabriele d'Annunzio

C’è chi insiste a cercare forme di vita nelle altre galassie, dimenticando che qui, in terra, a volte l’uomo scompare da piccoli paesi di montagna che, in men che non si dica, diventano irrimediabilmente delle incantate ghost town per gran parte dell’anno.

In questi antichi abitati, alcuni dei quali si ripopolano nelle due settimane a cavallo del ferragosto, si aggirano fantasmi: donne alla fontana con grembiuli e fazzoletti in testa, bambini sulla porta di una scuola che non esiste, uomini piegati sotto il peso delle balle di fieno, vecchi all'osteria per la “passatella”, ragazze al balcone in fiore.
C’è qualcosa di commovente e anche di macabro nell'abbandono di un borgo o di una valle.

Eppure qualcosa in controtendenza pare muoversi.
Castrovalva, antichissimo abitato a nido d’aquila sulle gole del Sagittario, una manciata di curve da Anversa degli Abruzzi, sta tornando a vivere.

Un artigiano, un mago della pietra, sta ricostruendo un po’ alla volta tutte le antiche case, su commissione dei figli di chi, un tempo, abitava questo luogo selvaggio ma incredibilmente bello.

Vero che d’inverno Castrovalva torna a essere un set buono per un film di Tim Burton o un racconto di Stephen King, ma oggi, possiamo dire che l’utopia della montagna può essere vinta.

Gli abitanti custodiscono memoria anche per chi, pur ristrutturando o magari lasciando in abbandono la vecchia casa, non ha tempo per arrivare fin quassù.
Una buona notizia dato che interi borghi medievali, dimenticati dalle famiglie di un tempo, oggi finiscono on line per offerte di acquisto su eBay, schegge di Far West, autentiche Spoon River cadute in disgrazia. Questo è un graffio indelebile e profondo al patrimonio artistico e antropologico italiano.

Ho deciso di andare a vedere.
La strada sale tortuosa, stretta, tornante dopo tornante.
Ad ogni curva, il panorama diventa paurosamente bello.
Mi sto arrampicando lungo il fianco di una montagna che precipita vertiginosamente sul fiume Sagittario e sulle sue gole.
Qualcosa da mozzare il fiato.

È una situazione ancestrale che per ironia della sorte, può essere il motivo per cui Castrovalva rimane ai margini dai più battuti percorsi turistici.
A una decina di chilometri si entra nella Valle dei Laghi e si arriva alla super visitata Scanno.
Qui tutto stordisce per la bellezza!
Affacciandoti dai bastioni della montagna pare di toccare Anversa degli Abruzzi.

Per chi ha il coraggio di inerpicarsi con la sua auto, fin sopra al cocuzzolo dove è poggiata Castrovalva e, ancor più, per chi ci arriva dal ripido sentiero che sale dal fondo delle gole con la forza delle gambe, questo luogo dell’anima regala, silenzio, fascino, isolamento, immerso nella storia e nella natura.

È arrivando in cima che capisci il perché dell’amore che il grande artista olandese Escher nutriva per questo borgo.
Era stato colpito dalle vedute aeree che si godono in paese e, durante questo lungo viaggio nel Sagittario, più di ottanta anni fa, immortalò gli scorci più significativi con la sua arte sopraffina.

Accadde prima che l’artista raggiungesse Villalago e i suoi specchi d’acqua, il magnifico “paese del sud” di Pettorano sul Gizio, nel sulmonese, per poi dover abbandonare l’Italia, colpito dall’anatema del Fascismo.
La litografia di Castrovalva è una delle più belle e famose di Escher, testimonianza di quanto il luogo avesse colpito la sua fantasia.

Come dargli torto?

Il borgo, lungo e stretto, tagliato dai venti impetuosi che lo sferzano in inverno senza pietà, posizionato com’è sul crinale, non lascia nessuno indifferente.
L’affaccio sul belvedere per vivere l’emozionale senso di vertigine, completa l’incanto del posto.
Il paese è tipico della montagna abruzzese, con le sue case a incastro poggiate sulla dura pietra, a formare piccoli labirinti abitativi.

Nel parlare brevemente di storia, lo storico del luogo, Antonio Genovese ricorda che il “Castrum Valvae” non era di origine romana ma bizantina.
L’odierna Castrovalva, che comunque era abitata sin dalla preistoria, risale al XIV secolo ed è di quel periodo anche la chiesa della Madonna delle Grazie, protettrice del paese.

In realtà pare che il borgo fosse nato a opera di un accampamento militare di stanza su questo monte che era detto Dell’Angelo.
Qui, spesso, le truppe rimanevano per mesi a guardia della valle, luogo strategico d’ ingresso nell’Abruzzo meridionale per chi voleva conquistare il centro Italia.
Sant'Angelo divenne monte San Michele.

Da qui, per secoli, i soldati che di notte avvistavano i nemici alle porte del Sagittario, usavano segnali luminosi con fuochi, per mettersi in contatto con il comando posto a Rocca Casale, non lontano da Sulmona.
Di lì le notizie giungevano alla capitale di allora, il distretto romano di Corfinio, nel cuore della vallata peligna.

Mi affaccio dalla parte di Anversa per guardare l’orrido.
Si notano anche remote grotte carsiche su pareti ripidissime dove nidificano le aquile.
Forse anche qui, persi nella vegetazione, ci sono degli eremi che raccontano di personaggi straordinari che con scelta ascetica hanno sperimentato un rapporto eroico con la natura selvaggia e primordiale.
La voce dell’uomo, quasi baritonale alle mie spalle, mi fa trasalire.
Un viso asciutto e gradevole se non fosse che la sua pelle ha uno strano colore dattero maturo.
Vuole solo, gentilmente, darmi informazioni.

Questo luogo è detto del “Morrone”, mi dice.
Spiega che i morroni erano degli avanzi di costruzioni molto antiche.
Proprio qui c’è la parte più vetusta del paese.
E mi fa vedere il luogo dove, anni fa, furono rinvenute monete d’argento databili, forse, all'anno Mille.

L’uomo, senza presentarsi, mi invita a seguirlo. Indica, dalla minuscola piazza centrale, la parte alta dell’abitato.
Lì c’era la chiesa dedicata a San Michele.

Fino agli anni Trenta, è stata grande la devozione per questo santo che veniva festeggiato con una sagra e processione.
Oggi del tempio rimangono solo delle pietre antiche.

Le parole del gentile cicerone mi fanno immaginare un paese che non c’è più.
Il tempo scandito dalle campane della chiesa madre, una melodia di poche note prima di battere le ore, il suono che echeggia fin sotto la valle.
I tocchi a dare malinconia per il tempo andato che nessuno può far tornare.

Era come se il tempo avesse un respiro comune e tenesse insieme tutte le anime!
I vecchi del paese da quelle campane erano governati.
Ne aspettavano i rintocchi per rimandare le poche bestie nei ricoveri, per smettere il lavoro e riposare.
Oggi nelle città le campane suonano nell'indifferenza, sommerse dai rumori del traffico o dallo sferragliare dei tram.

Guardandosi bene intorno, si intuisce l’incastellamento del paese, la sua importanza come accesso principale del meridione della valle peligna, le sue fortificazioni e dove si trovava la rocca, zona che oggi è chiamata del “Castellaccio”.

Si capisce perfettamente perché Longobardi, poi Aragonesi e Angioini, benvoluti dalla potente dinastia dei Caldora, abbiano voluto abitare questo luogo così impervio.

È stato un bel viaggio in uno scampolo di mondo estraneo al paesaggio urbano, diverso anche dalle campagne coltivate, un mondo dove la mano umana ha i suoi confini oltre i quali la natura non permette ingerenze.

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Come arrivare: A25, uscita COCULLO, proseguire per 11 km in direzione Anversa degli Abruzzi/Castrovalva.
Per info rivolgersi al comune di Anversa degli Abruzzi al telefono 086449115 o alla Riserva Naturale delle Gole del Sagittario 086449587

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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sabato 26 dicembre 2015

Nelle gole del Sagittario: Anversa degli Abruzzi!

Il Parco Letterario di Anversa degli Abruzzi!

“Se vieni con me per un sentiere che hai passato cento volte, il sentiere ti sembrerà novo” (Gabriele D’Annunzio)

Arrivo ad Anversa degli Abruzzi che il cielo ha appena finito di buttare giù acqua e sta schiarendo.
Qui si gode uno degli scorci sicuramente più belli dell’intero Abruzzo.
Le affascinanti Gole del Sagittario accolgono grandi bastionate verticali che, in una bellezza senza fine, precipitano i loro profili merlati e aguzzi fino al fiume.

Le acque scorrono impetuose, facendosi strada tra le rocce.

Il comune secolare di Anversa pare proteggersi da questa natura prepotente con le sue mura fortificate a strapiombo su di un dirupo.
L’abitato, nella parte più profonda della provincia aquilana, è a 600 metri di altezza.
Questa è una delle tante Riserve naturali che si succedono senza fine per tutto il territorio abruzzese, oasi gestita dal WWF nei suoi 450 ettari.
Insieme alle Gole di San Venanzio nel Parco regionale del Velino Sirente, rappresenta quanto di più wilderness si ricerchi in regione.

Nel Sagittario, però, dimorano orsi marsicani, lupi, cervi e caprioli, in cielo volteggiano piccoli rapaci, valore aggiunto per un territorio protetto.
È la ricca avanguardia della fauna che ospita il vicino Parco Nazionale d’Abruzzo, vero eden per chi ama avvistare animali selvaggi.

Siamo in un angolo d’Abruzzo amato da grandi personaggi.

Come dimenticare le continue incursioni di Gabriele D’Annunzio, che arrivava fin qui a dorso d’asino per trovare ispirazione.
Il vate, passeggiando tra le strette rue del paese, realizzò una delle sue tragedie più famose, “La fiaccola sotto il moggio” nel lontano 1905. Veniva da un grande successo di un’opera dell’anno prima, sempre ambientata in Abruzzo.

Volle bissare con una storia che riportava esperienze nella valle del Sagittario che aveva avuto quando era diciottenne nel 1881 e, un successivo viaggio in carrozza nel 1896, in compagnia di una delle sue tante amanti, tale Maria Gravina.
L’Abruzzo che viene narrato dal grande poeta, è barbarico, misterioso, abbarbicato su “di un Sagittario che si rompe a schiuma”, mentre magicamente arroccate, le case di Castrovalva ardono sul “sasso rosso”.

A lui, il borgo secolare ha dedicato un “Parco Letterario”, uno dei pochi esempi esistenti al mondo, un percorso dell’anima nel quale si legano le emozioni di viaggiatori illustri che qui hanno tratto ispirazione per grandi opere artistiche e letterarie, in un ambiente che oggi appare protetto.

Sono passati, stupendosi forte di tanta bellezza, anche artisti del calibro di George Gordon Byron, Francesco Paolo Michetti, Edward Lear.

Anversa, d'altronde, è davvero uno dei borghi più belli d’Italia.
I suoi resti di mura fortificate costruite sui dirupi, riportano a un passato glorioso e importante.

M’inerpico sulla salita che porta nel cuore del centro storico, che si dipana in vicoletti soprastanti la piazza centrale, luogo di incontro soprattutto serale.
Questi paesi sono sempre piazzati su cocuzzoli e visitarli significa sgambare alla grande!
È una serie di sottopassaggi, volte ad arco e piccoli edifici storici. M’insegue un delizioso profumo di biscotti e pane fragrante, appena sfornato dal tradizionale forno posto alla curva della strada principale. Da lì ci si affaccia, mirabilmente, sulla parte iniziale delle gole.

Qualcuno al bar in piazza, mi ha detto di cercare la signora Minietta al secolo Emilia, una quasi centenne che ha ancora la testa a posto e ricorda tutto quello che è accaduto in paese.
Da Anversa lei non si è mai mossa.
Me la indicano mentre sta godendo di un raggio di sole che sbuca dal dedalo dei tetti.
La vecchina ha visto la storia scorrere, ricorda perfettamente le due guerre.

Non so se ha ancora ben chiaro chi fosse quel poeta altezzoso ed elegante che girava in estate per il borgo.
Gli dico D’Annunzio e non sussulta.

La vedo invece attenta quando rispondo alla sua domanda su chi mi avesse parlato di lei e da quale parte dello Stivale io sia arrivato.

Racconta di quando la sua famiglia era povera e il papà cercava sempre l’amico con due caprette per chiedere latte da dare alla bambina.
Con un impeto antico ricorda perfettamente i nomi dei ricchi del paese, quelle famiglie che ogni giorno avevano sulla tavola ogni ben di Dio.
Lei, però, li ha visti andare tutti sotto terra.
Ricorda anche il voto dato per fare dell’Italia una Repubblica e mi pare, dal ghigno, che se ne sia pentita.

Una folata di vento scompiglia i suoi capelli d’argento mossi birichini da una pettinatura impertinente della nipote, giunta in vacanza da Roma dove di mestiere fa la parrucchiera.
È il caso di andar via, la vecchina mi pare stanca, quasi assente, forse chiusa nei suoi ricordi a risparmiare energie così vitali a quella veneranda età.

Peccato, avrei voluto sapere di più di una galleria dei volti del ‘900.

Arrivo alla cinquecentesca chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Scatto foto del bel portale rinascimentale in pietra calcarea, anno 1540, con un inedito rosone contornato da serpenti attorcigliati.

Le serpi non potevano mancare.
A pochi chilometri c’è Cocullo, il famoso borgo dei rettili dove il primo maggio si rievoca i miracoli e le gesta del santo dei “serpari” Domenico.
L’asceta se ne stava nella valle dei laghi, in un eremo a una manciata di curve dalla famosa località turistica di Scanno, cibandosi di bacche e chissà quali altre “delizie”.

Ogni tanto, tra una preghiera e l’altra, riusciva, secondo un’abbondante tradizione orale, a far compiere miracoli all'Onnipotente.
L’interno della chiesa delle Grazie contiene un bell'altare con decorazioni scolpite a grottesche e un tabernacolo ligneo di buona fattura.
C’è da stringere i denti e salire ancora per visitare le rovine del Castello Normanno del XII secolo, distrutto completamente dal terremoto del 1706.

Qui, ogni volta che si abbatte un sisma dalla vicina piana del Fucino, si perde un pezzo di storia.

La rocca fu edificata allo scopo di controllare uno dei più importanti accessi meridionali alla Valle Peligna.
Fu dimora dei Conti di Sangro, che ampliarono questa importante fortificazione strategica.

La rocca è importante anche perché, molte scene della “Fiaccola sotto il moggio”, si svolgono proprio qui.
Oggi il fortilizio è diruto.

Ridiscendendo, merita attenzione anche l’antichissima chiesa di San Marcello dell’XI secolo col suo portale tardo gotico, dai motivi antropomorfi.
Se avessi la gamba di un tempo potrei affrontare il suggestivo Sentiero Geologico delle gole che, dalle sorgenti di Cavuto s’inerpica tutto in salita, verso l’incredibile nido d’aquila del minuscolo paesino di Castrovalva.
Forse sarà meglio arrivarci in auto!

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COME ARRIVARE AD ANVERSA
In auto
Autostrada A 25 Roma-Pescara, uscita casello di Cocullo, Strada Provinciale n.479 da Sulmona.
Info: Comune e Riserva 086449115 Dormire e mangiare anche nelle vicine Villalago, Cocullo, Scanno.

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domenica 20 dicembre 2015

A Scanno, nel paese più fotogenico d'Abruzzo!

La gramigna vetta è chiusa in una morsa di nembi grigi.
Il pastore che si avvicina con le sue pecore ha la faccia bruna e il pizzetto da satanasso.

La vecchia casa dall'orto disfatto si oppone a fatica al vento.
Il pelo bianco dell’arcigno guardiano abruzzese si drizza a ogni folata.

Lo sguardo del grosso cane atterrisce.
Le gambe del vecchio transumante sono venate di blu e i piedi, rattrappiti, sembrano radici contorte sotto i pantaloni corti che paiono sottratti al figlio giovane.
Me lo avevano detto ma stentavo a crederci.
A Scanno c’è ancora qualche pastore italiano che si ostina a esser tale e a non servirsi di macedoni.
Da Gregorio, nell'azienda agricola Valle Scannese che mi ospita, le pecore sono così tante che gli stranieri, invece, sono indispensabili.

Il vecchio non vuole tanto parlare, è come appesantito dai giorni vissuti.
Indica le bestie come a dire che tutti questi anni sono uguali l’uno all'altro.

Eppure, quanti ricordi potrebbe regalarci.
L’uomo comunque pare di buona indole.


Il carattere non ce lo scegliamo, credo, ci viene donato e non certo costruito.

Lo consegna il buon Dio, insieme a polmoni, fegato, pancreas.
Mi avvio verso l’agriturismo posto a pochi chilometri da Scanno sulla tortuosa e panoramica strada del Passo Godi che porta a Villetta Barrea, mentre le prime grosse gocce di questa perturbazione agostana scendono giù dal cielo nero.
Qui il tempo pare essersi fermato.

Siamo nel cuore dell’antichissimo tratturo che le greggi attraversavano fino a Candela di Foggia.
Non mi resta che mangiare.
D'altronde, ditemi, ci può essere scorribanda che prescinda dalla buona cucina o piatto tipico che non contribuisca alla cultura e alla conoscenza dei luoghi che si visitano?
Scanno, borgo caratteristico ai margini del Parco Nazionale d’Abruzzo, il più vetusto d’Italia, non è famoso solo per il suo bellissimo lago, unico naturale in regione.
I suoi gioielli “presentosi” creati in filigrana dalla fervida fantasia e maestria degli artisti di bottega, le tradizioni difese a oltranza, l’aria buona, i pizzi lavorati al tombolo, i centrini, gli scialli e le tovaglie artigianali, oltre alla buona cucina, fanno di Scanno una meta ambita in tutto il mondo.

Ho voluto ripercorrere la strada fatta dal geniale disegnatore Maurits Cornelius Escher, solitario precorritore di montagne d’Abruzzo.
L’olandese era giunto ad Anversa degli Abruzzi, luogo che ispirò il vate D’Annunzio nella sua tragedia “La fiaccola sotto il moggio”, recandosi nel pittoresco borgo di Castrovalva, sospeso a nido d’aquila sulle severe rocce delle gole del Sagittario.
Qui creò un dipinto del paese costruito sulle pareti della montagna.
Poi arrivò a Scanno e l’emozione fu grande.
Si trovò davanti a un abitato scenografico: un’armonica somma di stili, dal medioevo al barocco, passando per il rinascimento.

Il centro storico caratteristico con le sua case addossate, i palazzotti gentilizi, le scalinate, il tessuto urbano di vicoli e archi lo colpirono allo stesso modo in cui rimase basito nel 1846, Edward Lee.

Avevano scoperto uno dei borghi più fotogenici d’Italia!
Quanto scrittori hanno ricercato ispirazione negli angoli più suggestivi di questo paese incredibile!

A tavola portano un trionfo di formaggi fatti da Gregorio e figli, caciocavallo e pecorino in primis, poi gnocchi della casa, agnello locale con cicoria ripassata in padella e un vinello di uve montepulciano niente male.

Per finire una ricottina calda, appena fatta con sopra la marmellata di uva e la crostata con l’uva canina.

Sono in un vero agriturismo, per giunta bio, non inventato per strappare contributi statali!
Finalmente satollo e soddisfatto, riesco a guardarmi intorno.
Le foto alle pareti sono deliziose.
Le donne antiche sono vestite con i costumi tipici della festa. Raccolgono i loro capelli stretti nelle crocchie e mi chiedo quanto lavoro occorresse per pettinarli.
Tra i visi rugosi si insinuano anche sguardi infantili di bambini anch’essi agghindati nei fantastici costumi scannesi.

La voce alle mie spalle è della figlia del proprietario:
“Se vuoi vederle basta andare a messa stasera a Santa Maria della Valle.
Le trovi tutte lì le vecchine e pare che il tempo si sia fermato”.
Il tempo pare volgere al bello, finalmente.

Mi reco in paese e, quindi alla parrocchiale.
È bella la facciata rinascimentale con il portale del secolo XVI di scuola borgognona.

Anche il campanile cinquecentesco, di quasi 40 metri, è niente male con la sua torre quadrata.
Il rosone è rifatto dopo il danneggiamento del terremoto di Avezzano del 1915.



L’interno è a tre navate, anch'esso rifatto a causa dei rovinosi terremoti del settecento.
Il pavimento in cotto rosso è stato appena realizzato, poco prima del duemila.
Bello il pulpito e belli i confessionali in noce.
Interessanti gli affreschi seicenteschi di Sant'Eustachio, San Biagio e l’Assunta.

I fedeli della domenica arrivano fin sotto l’altare maggiore con i marmi policromi del 1732, realizzato su disegno di Panfilo Ranalli di Pescocostanzo.
Fra di essi ci sono diverse anziane che indossano il costume tipico. Sono bellissime da vedere.
Sfileranno tutte nel giorno di ferragosto, quando si festeggerà l’Assunzione della Beata Vergine Maria.
Le guardo e penso che anche fino a pochi attimi dalla fine della vita, non si rinuncia al proprio modo di essere.
Guardando agli avambracci cadenti di queste che un tempo erano splendide donne, ma anche all'entusiasmo e alla fierezza con cui portano il loro bel vestito capisco che la trasformazione non è opera di un mago cattivo.

Un prato è radioso in primavera ma è sotto silenzio, tra gelo e neve in inverno.
Le stagioni della vita aiutano a incontrare Dio in situazioni sempre diverse.
È splendido perdersi nei vicoli di Scanno!

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Per arrivare a Scanno consiglio di prendere la A25 Pescara Roma, uscita Cocullo.
Potrete così visitare la splendida Oasi delle gole del Sagittario, Anversa degli Abruzzi, il pittoresco borghetto di Castrovalva e Villalago con l’eremo di San Domenico, il santo dei serpenti di Cocullo.

Per mangiare e dormire ci sono moltissimi agriturismo fuori Scanno, affittacamere in paese e alberghi sul lago. Sono tutti aperti anche in inverno quando si scia verso Passo Godi.
L’agriturismo di cui parlo nell'articolo, è l’Azienda Agricola Rotolo Gregorio - località Valle Scannese (www.vallescannese.com). Al suo interno c’è un fornito punto vendita di prodotti biologici dell’azienda.
Per contatti telefoni: 0864576043 – 3465043806- 3482886912.
Concordate bene i prezzi che a volte risultano “ballerini”.

Molte sono le botteghe artigiane degli orafi. Io ho acquistato con soddisfazione una “presentosa” in filigrana a un prezzo onesto ma si trovano anche "amorini" in collane, ciondoli e pendenti da orecchie, croci in oro, tutti rigorosamente di produzione artigianale.

Sul lago, dove beatamente transitano anatre di ogni tipo, c’è la possibilità di fare picnic e di andare in pedalò.

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sabato 19 dicembre 2015

Castellalto: L’antica Castrum Veteris

Castrum Veteris Trasmundi non è solo un nome dal suono antico che rimanda ad echi lontani: è un viaggio alla ricerca del tempo perduto.
Un itinerario dai contorni a volte sfumati.
Eppure in questo caso ben definiti sul piano geografico.
Dal belvedere la vista si apre, infatti, sull'immensa pianura solcata dal fiume Tordino, spaziando dal Gran Sasso all'Adriatico, in un incredibile reportage visivo dell’amena provincia teramana.


Arrivo a Castellalto, in una giornata smagliante di tarda primavera, con il sole che scolpisce in lontananza le montagne.
Il borgo antico è immerso in un silenzio quasi sacrale.
L’abitato rustico e compatto, scolpito su di un costone roccioso come minuta opera d’arte, conserva sprazzi della sua antica struttura architettonica.

Ricordo che, qualche anno, fa il professor Valerio Casadio dell’università di Roma, autentica enciclopedia vivente del paese, mi parlò delle origini, raccontandomi storie affascinanti di feudatari che cinsero il borgo di fortificazioni.

Parlò di un ritrovamento eccezionale, un “bronzetto italico” di Ercole rivestito di pelle di leone, fattura ellenistica databile III, II secolo a.C.

Nei suoi racconti, lo storico citò vecchie case nel cui interno esisterebbero dei depositi- magazzini sotterranei, con delle capaci cisterne che un tempo raccoglievano l’acqua piovana da utilizzare per gli usi quotidiani.

Castellalto, ancora oggi rende l’idea, osservando i resti dei bastioni perimetrali di difesa e il severo portale d’accesso, di quale incredibile baluardo dovesse essere per i suoi pendii a picco che rendevano quasi impossibile entrarvi.
L’anima dei Castellaltesi è rimasta intatta nei secoli.

Un tempo era abitato da vecchi proprietari terrieri, pochi contadini, una manciata di valenti artigiani, sarti e calzolai che passavano di casa in casa, rimettendo in sesto il guardaroba di chi poteva permetterselo, ricevendo pagamenti in natura.

Oggi il vecchio e il nuovo convivono, anche se a fatica, in una complessa e armonica struttura, con edifici addossati l’uno all’altro senza soluzione di continuità, comunicanti tra loro con loggiati e androni, cunicoli e corti interne, retaggio evidente di un passato più importante della realtà odierna.

Il borgo è ricco di particolari caratteristici, reperti architettonici di una certa importanza e suggestive testimonianze lungo i suoi viottoli silenziosi.

L’antica casa del Barone Patrizi, dimora degli Acquaviva, ne è un esempio.
Molti decori di nicchie e foglie di acanto sono scomparsi, ma il palazzo mostra ancora un passato glorioso. Nei primi anni del 900 il ricco signorotto possedeva gran parte del paese.
Poi per alterne vicende cadde in disgrazia, povero, accudito prima della morte dal suo “fattore”.

Nella piazzetta del vecchio municipio i ragazzi vocianti stanno tirando calci ad un pallone.

Uno di essi, il più sveglio, occhi vivaci e gesti da personaggio dei fumetti, mostra orgoglioso un piccolo sottoscala.
Ai lati ci sono delle minuscole feritoie per aria e luce.

Qui un tempo, racconta il ragazzo che da grande farà sicuramente la guida turistica, venivano rinchiusi i bambini restii allo studio.
E’ piccino il paese, circa duemila famiglie, minime prospettive di lavoro.


Molti sono emigrati verso il vicino Eden industriale di Castelnuovo Vomano, creando, in una zona negli anni 50, costituita da case coloniche e masserizie dei Cerulli Irelli e Guerrieri Marcozzi, un centro moderno di oltre quattromila anime, nato dalla fusione di vecchi agglomerati come Villa Gobbi, Villa S. Cipriano e Villa Parente.
Erano proprietà, un tempo, di famiglie agiate.

Castellalto è legato in una sorta di osmosi anche con lo splendido borgo medioevale di Castelbasso.
Non è solo la sede comunale, è un autentica impollinazione imprenditoriale che trova compimento nelle fabbriche della vallata del Vomano.
I paesani qui sono diffidenti fin quando non capiscono che hanno davanti un tipo semplice e acquistano fiducia nel loro interlocutore.
“Lavora e taci”, questo motto che sembra uscito da qualche popoloso villaggio del nord est dell’Italia, calza a pennello per Castellalto.
Il barista mesce, con discrezione, un buon bicchiere di trebbiano e lo accompagna con stuzzichini di prosciutto e pecorino.

Un vecchio abitante con il quale ho preso confidenza, snocciola una teoria di numeri che parlano da soli.
Le aziende agricole dei dintorni, mi dice, hanno le bestie contate.
Poche mucche da latte, mancano tori per coprirle. Poche capre, pochi maiali.
Un tempo da queste parti l’agricoltura e l’allevamento
erano risorse insostituibili.

Di colpo si copre il sole.
Si alza un vento freddo.
Varco il portale d’ingresso cinquecentesco della parrocchiale di San Giovanni.
Lo stile barocco riempie gli occhi.
Affreschi, statue, stucchi, fregi e capitelli.
L’attuale chiesa è stata ampliata nel 1589.
Precedentemente era una cappella sita nel mezzo delle mura di cinta che, partendo dall’arco di ingresso, cingevano tutto l’abitato.
Secoli prima il luogo era adibito all'”otium” delle terme.
Qui, stando ai ritrovamenti di antichi pavimenti e tubazioni, gli antichi Romani dedicavano una parte del loro tempo all'arte del vivere, alla cura di sé, lo spazio dell’anima e il piacere del corpo.
All'interno numerosi inginocchiatoi, panche, un confessionale che dimostra l’usura del tempo.
Una donna enorme, inginocchiata di schiena, pare svanire nel buio dell’unica navata.
E’ in attesa di una sicura assoluzione dei suoi piccoli misfatti.

La chiesa della Madonna degli Angeli del 1580, alle porte del paese, vicino a quello che resta di un caratteristico cimitero è suggestiva.

Anni fa vennero trafugati dei teschi forse da studenti di medicina, secondo alcuni da gente dedita a riti di stregoneria.
Un luogo speciale.


Si dice che sia stato costruito in pochi giorni dal popolo, in omaggio alla Vergine che avrebbe salvaguardato il luogo dalla tremenda carestia che fece morire di fame migliaia di persone, soprattutto nelle campagne.

Le gerarchie ecclesiastiche avrebbero sempre evitato di legittimare questo autentico miracolo.
Ma in fondo chi se ne importa, dicono da queste parti.
Il miracolo, la Madonna l’ha fatto davvero!
Mi piacerebbe poter rendere meglio le meraviglie di un silenzio rotto qui e là dal pianto di un neonato o dalle note discrete di una radio accesa.

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Arrivare a Castellalto: 
Dall'autostrada Adriatica A14 (da nord: direzione Ancona; da sud: direzione Pescara), uscire a Teramo/Giulianova/Mosciano Sant' Angelo, prendere la SS 80 Strada Statale del Gran Sasso in direzione Teramo, uscire in direzione Castellalto/Bellante, seguire la direzione per Castellalto.

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domenica 13 dicembre 2015

Custodi e non padroni: Considerazioni su “Laudato sì” di Papa Francesco

«Laudato si’, mi’ Signore », cantava san Francesco d’Assisi.
In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia:
«Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba ».
Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei.
(Papa Francesco)

La lettera enciclica del Papa “Laudato sì”, è qualcosa di incredibilmente bello.

In duecento quarantasei paragrafi, a formare sei capitoli, si dipana un profondo inno alla vita, una Magna Carta del creato, la summa di tutto quello che potrebbe dirsi o scriversi a proposito di natura, ecologia e ambiente.

È soprattutto un appello alla scienza affinché si allei con le religioni per esortare le coscienze a sentire propria la responsabilità della custodia della nostra “casa comune”.

È un impegno ancora più pressante per noi francescani, anche per il titolo scelto dal pontefice a richiamare la più bella poesia del mondo, il capolavoro del nostro serafico Padre Francesco d’Assisi: il Cantico delle Creature, inno insuperato nei secoli per la sua bellezza cosmica che penetra tutto il creato, quasi lambendo l’ineffabilità di Dio.

Era il 1224 quando il Poverello, nel silenzio di San Damiano, malaticcio e quasi cieco, soffiato nel cuore dalla forza dello Spirito Santo, dettò la pagina forse più straordinaria mai scritta per lodare Dio, abbracciando il mistero del creato e della natura e diventando il paladino dell’ecologia.
Questo, suo malgrado, dato che “Il Cantico” è un bellissimo trattato teologico, un testo dettato dall’amore per l’Altissimo e non un qualcosa per celebrare soltanto ambiente e natura.

Papa Francesco, partendo dal mistero della creazione e del Creatore, ha voluto dedicare la sua enciclica a quella lode infinita al Signore e alle sue creature per ricordarci che l’uomo, nello spirito del Genesi, non è il padrone dell’universo.

Solo Dio è tale.

E ha posto l’uomo nel centro dell’Eden “perché lo lavorasse e lo custodisse” (Genesi 2,11).

Egli non ha affidato all’uomo il governo del mondo affinché ne faccia quel che vuole.
Solo il Creatore è Signore di tutte le cose.
Noi, dice Bergoglio, non siamo Dio.

La terra ci precede e ci è stata data in prestito.
Siamo, comunque, i custodi, i guardiani che dovranno, alla fine dei tempi, riconsegnare la sua creazione all’Onnipotente passandoci uno a uno il testimone nel corso degli anni.
Proprio come ognuno di noi fa con la sua anima, nel momento del trapasso.
Parole ovvie ma che spesso dimentichiamo nella società frenetica in cui stiamo vivendo.
Questo immenso dono di Dio lo sporchiamo continuamente, lo deturpiamo così come facciamo per la nostra anima che abbiamo avuto immacolata e che invece rendiamo spesso lercia e purulenta.

Il creato è concesso da Dio all’uomo per godere degli infiniti profumi, colori, sapori e soprattutto benefici, non certo per accumulare ricchezze, mercificarlo e sotterrarlo con immonde speculazioni.

Ma il Papa ha soprattutto a cuore gli Ultimi della Terra e, in gran parte del suo scritto, ripete che il creato è di tutti e soprattutto di chi è posto ai margini della società, quei poveri, derelitti di cui Gesù parla nelle sue “Beatitudini” del meraviglioso “Discorso della montagna”.

Bergoglio propone il “modello San Francesco”, dal quale bisognerebbe imparare come sia “inseparabili la cura della natura, dalla giustizia verso i deboli, l’impegno per una società dell’accoglienza e la pace interiore tanta desiderata”.
È la Perfetta Letizia amata profondamente dal serafico Padre.

Il pontefice parla di “conversione ecologica” da un’economia che persegue, delittuosamente, solo e unicamente il profitto creando inquinamento, cambiamenti climatici, distruzione senza precedenti di ecosistemi e deteriorando la qualità della vita umana, causando colpevolmente un degrado sociale.
È un appello senza precedenti alla responsabilità in base al compito che Dio ha dato all'essere umano nella creazione: “Coltivare e custodire il giardino in cui lo ha posto” (cfr. Genesi 2,15).

“Responsabilità” pare essere la parola “chiave” per un’umanità che ha acquisito enormi poteri grazie all'energia nucleare, le biotecnologie, l’informatica e le profonde conoscenze del nostro stesso Dna.

È rischioso che questo tremendo potere sia in mano a pochi individui che dominano la gran parte dei fratelli, con i nefandi risultati sotto gli occhi di tutti.

Prendersi cura della natura è anche combattere le povertà, le diseguaglianze.
Il pontefice auspica, addirittura sottoponendosi senza paura agli strali di chi cerca una crescita avida e irresponsabile, una certa decrescita in alcune parti del mondo per favorire lo sviluppo delle zone buie del pianeta, procurando per esse risorse nuove.

Gioiamo, sembra infine dirci Bergoglio, come buon papà di famiglia, dei doni ricevuti dall'amore del Padre e noi, cristiani combattiamo la buona battaglia, incoraggiando uno stile di vita capace di non essere ossessionati dal consumo, crescendo nella sobrietà e nel rispetto di tutto il creato a cominciare dalle più piccole delle creature.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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sabato 12 dicembre 2015

La disarmante bellezza dei Sassi materani

L'uomo è magrissimo, quasi ascetico, con corti capelli neri da uomo del sud, guance scavate e solcate da rughe profonde, occhi neri con sopracciglia folte e occhiaie scure.

E' vestito in modo anonimo e ha una tosse stizzosa e voce rauca da gran fumatore.


Superato il centro moderno, dopo aver visitato l'inquietante chiesa del Purgatorio tra teschi e scheletri nella facciata a ricordare la caducità della vita, un innocuo varco tra due palazzi svela improvvisamente un mondo arcaico, un paesaggio biblico.
Con un autentico colpo di teatro, allarga le braccia e, quasi fosse su di un palco, esclama trionfante:
"Signore e signori, ecco i meravigliosi Sassi di Matera"!

Mi sono intrufolato in mezzo a questo gruppo che dal loro inconfondibile dialetto, deduco vengano dall'Emilia Romagna.
Adoro ascoltare le storie delle guide locali.
Era tanta la curiosità di arrivare fino a Matera.
Le case incastonate nella roccia, stratificate le une sulle altre, colorano il panorama di innumerevoli sfumature di grigio.
Nonostante la sosta prolungata, i nostri occhi faticano ad abituarsi a tanta bellezza.
Davanti si apre un paesaggio unico, tra vicoletti, gradinate, orti, campanili, chiesine, terrazze, casette ammassate l'una sull'altra, strade che passano sui tetti.
Ho già dimenticato il pur bellissimo Duomo, capolavoro romanico del 1230, la chiesa di San Francesco, capolavoro del barocco leccese.

Gli antichi insediamenti urbani preistorici si aprono davanti ai miei occhi e mi stupiscono.

E' un mirabile dedalo di case antichissime che paiono sprofondare nella terra, quasi roteando intorno agli sguardi estasiati dei visitatori che, per inciso, sono tantissimi e provenienti da ogni parte del mondo.

Sembra che la pubblicità alla capitale della cultura europea per il 2019, sia stata un vero toccasana per il turismo della Basilicata.

La città dei Sassi, da vergogna sociale nel dopoguerra, è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dell'Unesco nel 1993 e oggi è un grande simbolo del Bel Paese.

Guardo gli antichi rioni che conservano, incredibilmente, tracce di epoche arcaiche.
Qui hanno girato film religiosi tra cui "Il Vangelo secondo Matteo" del 1964, opera del grande Pierpaolo Pasolini e alcune scene della Passione di Mel Gibson.
Come non sfruttare questo habitat di impareggiabile bellezza in cui l'uomo a fatica si insediò sin dal Paleolitico?

La guida, accendendo l'ennesima sigaretta, indica in lontananza la sagoma di una chiesa rupestre, promettendo di portare il gruppo fin lì.

Proprio questi luoghi sacri sono un altro degli elementi spettacolari di un autentico mosaico tridimensionale in pietra.


Nell'incredibile tessuto urbanistico dei Sassi, di questi antichi templi scavati nella roccia se ne contano oltre cento, compresi quelli persi nelle grotte del sovrastante e bellissimo parco della Murgia, tra archeologia, arte e natura.
Sono magicamente piazzati lungo profondi precipizi, che dall'altopiano murgico, scendono fino alla Matera preistorica e giù, fino al fiume incastonato in una gola.

Abbandono il gruppo.
Ho in mente un mio giro in solitaria. Ho scarpe da trekking, cappello per il sole e cartina per districarmi nel dedalo di vicoli di questa città scolpita nelle rocce di tufo, alla ricerca, come novello Indiana Jones, delle radici dell'uomo.

Vorrei capire come sia stato possibile sopravvivere dentro questi incavi di roccia, tuguri malsani.

Sono stato anche previdente e, prima del viaggio, ho riletto il capolavoro dell'intellettuale anti fascista, Carlo Levi che nel 1945 scrisse "Cristo si è fermato a Eboli".

Il grande scrittore descriveva questo mondo preistorico così:
"Matera è in un precipizio con un burrone dalla forma strana: come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone. I coni rovesciati, gli imbuti, si chiamano Sassi. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l'Inferno di Dante...".

La città dei contrasti è un disarmante inno alla bellezza della vita, nonostante gli stenti di chi l'ha vissuta, un groviglio di grotte intervallate da sfarzosi palazzi, un enorme, stupendo presepe di vita, alternato a magnificenze barocche, un paesaggio sacro che muta a bolgia da inferno dantesco.

Infine case addossate alla pietra a cui si alternano costosissimi bed-and-breakfast spartani ma da trecento euro a notte per provare il brivido dell'umidità nelle ossa.
Di certo c'è che è dura per giovani viaggiatori piantare una tenda sui gradoni in pietra.

Meglio optare per qualche sistemazione nella città nuova.

Tutto però ha il sapore del qualcosa di unico!
 Ho davanti agli occhi praticamente un autentico museo a cielo aperto della straordinaria avventura umana dall'Età della Pietra ai giorni nostri.

Giungo al belvedere di "Murgia Timone", in fondo al quale scorrono, in leggero tumulto, le acque del torrente Gravina. Da qui si gode uno dei panorami più belli d'insieme della città posta sui due anfiteatri naturali del "Sasso Caveoso" e del "Sasso Barisano", con al centro lo sperone della "Civita", il nucleo più antico dell'abitato.
La vista toglie il respiro.
Anche la stupenda donna intenta a fotografare con il suo iphone 7.
Lei è bellissima, circa quarant'anni, bionda platinata,abbronzata, elegante, ma gonna e tacchi decisamente out per girare tra le pietre millenarie di Matera e le ripide scalinate.
Sembra uscita piuttosto da Via Condotti con la sua borsa color arancio firmata e l'abito corto a mostrare due gambe da urlo.

D'altronde, quando ero in Commissione Escursionismo C.A.I. e guidavo gruppi di turisti in montagna, non era difficile incontrare donne con improbabili infradito.

Il giovanotto abbronzato che le fa compagnia, calza invece comode scarpe da tennis e pare compiaciuto dagli sguardi famelici dei maschi che si distraggono dal panorama per guatare un altro tipo di bellezza.

Intanto arriva un gruppo di americani con tanto di grossi auricolari che traducono le parole della guida, una diafana ragazza che pare preparata.
Racconta che i Sassi erano abitati da poveri nuclei familiari, mediamente 6, 8 persone a cui si aggiungevano animali dato che l'allevamento rappresentava, fino a meno di un secolo fa, il principale sostentamento.

Seguo il gruppo con discrezione attraverso cantine che si alternano a sotterranei e caverne millenarie, abitate fino a pochi decenni fa!

Al "Palombaro Grande" la ragazza pretende gli euro per il biglietto d'ingresso.

Siamo ora in una gigantesca cisterna dove, attraverso un ingegnoso metodo di raccolta delle acque piovane, il liquido veniva ridistribuito nei tuguri malsani.

Subito dopo entriamo in una casa museo, praticamente una grotta a più strati e piani dove ci viene spiegata la vita difficile di quei tempi in cui metà di un nucleo familiare moriva tra umidità, freddo e ignoranza.

Sta scendendo la sera di questa giornata incredibile.
Mirabilmente i sassi si illuminano come il presepe di Greccio.
Il cielo, fin ora anonimo, si colora di un tramonto viola e grigio.
Seduto quasi su di una roccia, posso cenare con focaccia e formaggi locali, mentre belle ragazzine in costume materano mi mostrano prodotti biologici da portare a casa.

Non vorrei andarmene!
Domani andrò a visitare l'altro set della Passione di Cristo del grande Mel Gibson: il fantastico paese abbandonato di Craco!

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Info
Matera e i suoi dintorni si raggiungono per chi viene dall'Adriatico, seguendo l'autostrada A14 fino a Bari Nord, poi statale 96 per Altamura e 99 per Matera.

Dal Tirreno con la A3 Salerno Reggio Calabria, uscita Sicignano. Da qui la E847 per Potenza e statale 407 Basentana per Metaponto, uscita Matera.
Da non perdere Montescaglioso e le sue opere d'arte con l'abbazia fondata dai Benedettini nell'XI secolo, il parco della Murgia tra silenzi e atmosfere mistiche, le masserie fortificate perse tra colline dolci, il paese abbandonato di Craco, set naturale di tanti film di grandi artisti del calibro di Lattuada, Scola, Irsina con il capolavoro della Cattedrale del Duecento.

Dormire nei Sassi ha prezzi proibitivi, meglio cercare un appartamento nella città nuova che non dista moltissimo dalla zona arcaica. 
Io ho trovato una bella sistemazione attraverso TripAdvisor.
Scegliete per mangiare una locanda. 
Ce ne sono al limitare dei Sassi. 
Si mangia a prezzi onesti prodotti locali.

Per visitare il parco della Murgia: Ente Parco via Sette Dolori 10 0835 336166 . www.parcomurgia.it

Agenzia Promozione Territoriale Basilicata: 0835 331983

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domenica 6 dicembre 2015

Il museo di Celano: le sconosciute bellezze dell’arte in Abruzzo


Nelle varie incursioni museali che gli appassionati di arte possono compiere sul territorio abruzzese, la visita al Castello dei Piccolomini di Celano e al Museo della Marsica, rappresenta certamente uno dei momenti più alti.



Eppure sono veramente pochi affezionati dell’arte a conoscere questo luogo, incantevole scrigno di capolavori snobbati per mancanza di una seria promozione, oggi non insufficiente, oserei dire, assente completamente.
Siamo in un luogo dove la bellezza di una scena medievale inedita completa, mirabilmente, la fruizione di opere d’arte affascinanti.

Ciò che colpisce il cuore e rimane nell'intimo, una volta superato il grande portone, è l’ingresso nel cortile a doppio ordine, maestoso nel suo portico e con le arcate ogivali. Alzando gli occhi si è rapiti dalla proporzione armoniosa del loggiato superiore scandito da colonne sottili e da archi a tutto sesto.
La luce che penetra nella quiete dell’insieme, pare abbracciarsi amorevolmente con il pozzo centrale il quale evoca scene senza tempo.
È solo l’antipasto di un convito sontuoso.

Nel piano nobile del Castello che si erge nel centro della cittadina un tempo famosa per la bellicosità dei suoi abitanti, i Marsi, noti per la loro ferocia e la resistenza alla fatica oltre che per la bravura nelle armi, si snodano ben undici sale che corrono lungo tutto il loggiato e ospitano le opere d’arte del museo marsicano.


Per chi vi scrive, in gran parte sono state piacevoli sorprese.

Ero appena tornato da un passaggio purtroppo veloce nella zona archeologica di Alba Fucens che meriterebbe ben altro tempo e attenzione.
Ho trovato in una delle sale splendidi bassorilievi del XII secolo provenienti proprio dall'antichissima chiesa di San Pietro che insiste sui resti dell’antica colonia romana.
È un gradevole viaggio nel tempo quello che si può vivere in questa ampia sala tra reperti lapidei, frammenti di capitelli, pezzi di antichi amboni, frammenti di scene bibliche fra cui si identifica Giona tra il grande pesce che sta per inghiottirlo e piccole sirene vaganti, in cui l’arte del Romanico dà il meglio di se.

Una piccola sala accoglie anche la sezione archeologica della famosa Raccolta Torlonia di Antichità del Fucino, di quando l’ampia zona era caratterizzata dalla presenza del grande lago che occupava l’intera piana o quasi che si staglia sotto le falde della piccola montagna del Salviano, propaggine del maestoso Velino.
Panorami idilliaci tra frammenti di vita sul lago e piccole barche di pescatori si presentano attraverso bozzetti e dipinti.
S’intuiscono le case dei pescatori, le ville degli antichi Patrizi, la città di Celano con la possente cinta muraria anche in piccoli bassorilievi in pietra, che restituiscono la vivacità di un luogo che doveva rappresentare una notevole importanza sulla via che dalla capitale Roma, portava al mare Adriatico.

Una rivisitazione in chiave ideale di una vita che aveva il giusto equilibrio tra uomo e natura, vita e lavoro, svago e impegno.

Ma il bello deve venire.
Nella sezione religiosa, l’arte sacra si sviluppa attraverso statue di Madonne con Bimbo, Polittici con figure di Santi in estasi, omaggi a figure di Beati in contemplazione, fino alla bellezza pregiata di rari Crocifissi Processionali con preziose pietre incastonate.
Sono gioielli di oreficeria di cui l’Abruzzo ha il suo massimo artista in Nicola da Guardiagrele, nome famoso nel mondo intero.

Veramente un peccato che grida vendetta la cronica mancanza di promozione a questo Museo che meriterebbe frotte di visitatori e che invece trovo semivuoto ogni volta che arrivo a Celano.

Sono tanti i turisti che arrivano in paese, magari evadendo per qualche ora dal sole cocente dell’estate al mare.
Mancano dei cataloghi, mancano delle guide, poche notizie su internet, qualche foglio ciclostilato per alcune informazioni buttate qui e là, in linea con la assoluta gestione dilettantistica dell’apparato promozionale della nostra Regione.

Andate a vedere il castello, è ampio, ben tenuto, merita una visita anche per ammirare la vallata dall'alto delle merlature che costeggiano i camminamenti lungo gli spalti.
In estate ospita varie manifestazioni, spettacoli in costume d'epoca a uso e consumo dei turisti e di musica sia lirica che leggera.

E' un incontro con la storia, una passeggiata attraverso i secoli, dal medioevo ai giorni nostri da effettuare magari con i bambini che si meraviglieranno nei saloni antichi, osservando le armi di un tempo, le raffigurazioni dei guerrieri.

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Come arrivare a Celano:
A24/A25 RM-PE : uscita Aielli-Celano 
da Napoli : A1 NA-RM uscita Caianello/ seguire indicazioni per Sora/ Avezzano/ A25 direzione Pescara/ uscita Aielli-Celano

Informazioni: Museo Nazionale d'Arte Sacra della Marsica tel. 0863-792922

ORARIO VISITE CASTELLO “PICCOLOMINI” CELANO (AQ)
Castello: dalle ore 9,00 alle ore 19,00 (chiuso lunedì) 
Mostre: dalle ore 10,00 alle ore 18,30
Biglietteria: dalle ore 10,00 alle ore 18,00
Il Castello “Piccolomini” di Celano (AQ) è aperto ai visitatori tutti i giorni tranne il lunedì. 
Il prezzo del biglietto è di pochi euro. 
Visite guidate a cura dell'Ufficio Attività didattica:
dal martedì al venerdì su prenotazione:
tel. e fax 0863-792922

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sabato 5 dicembre 2015

Bistecca e Spezzatino di Soia al forno con Verdure

Qualche giorno fa nel cercare di trovare il "quorn" (assaporato e molto apprezzato a Londra)  nel mio negozio di erboristeria di riferimento mi sono imbattuto casualmente in una busta di Bistecca e Spezzatino di soia.

In me sono riaffiorati nella mente una marea di ricordi di quando da ragazzo preparavo pranzetti a base di soia per me e per i miei amici.

E con essi mi prende la curiosità e il desiderio di reinserirli nella mia dieta che non è vegana ma "variegatamente onnivora"

Ho cercato in rete qualche ricetta specifica e come al solito ho preso degli spunti e l'ho personalizzata a modo mio.

- Preparare zucchina - peperone rosso - piselli - cipolla - carciofini - aglio - olive verdi


- Marinare in frigo per un paio d'ore con pochissimo olio, pepe, rosmarino, maggiorana.
- Reidratare la carne di soia in un tegame di ceramica per 1 ora circa utilizzando brodo (o acqua) bollente
- Dopo la reidratazione spremere la soia eliminando il più possibile l'acqua (o il brodo che pero' va recuperato)
- Pre-riscaldare il forno a 230 gradi

In contemporanea cucinare al fornello, in tegami separati, verdure e carne di soia

- Cuocere le verdure al fornello con fiamma non forte e irrorarle con 1 tazzina di vino e 2 tazzine d'acqua (o di brodo) per 10 minuti circa e comunque dopo che acqua (o brodo) e vino sono stati riassorbiti dalle verdure.


- Effettuare al fornello con fiamma media una prima cottura della carne di soia con brodo 1 cucchiaino di dado vegetale in polvere, una spolverata di pepe, 1 tazzina di vino
Cuocere per 10 minuti mescolando spesso.



- In un contenitore d 'alluminio versare della crusca d'avena (formato fine), depositarci sopra la carne e mescolare inserendo ancora crusca d'avena fin quando la carne e' ben infarinata.
Volendo ci si può "intossicare più di un pochetto" infarinando la carne di soia con "farina-veleno 00".
Nella mia cucina la farina raffinata "00" e' off limit come il sale (e lo zucchero) raffinato, che come si può notare non ho usato nella preparazione della mia ricetta.










- Mescolare in un vassoio di vetro da forno (o di coccio) la carne di soia e le verdure.
Aromatizzare con 3 tazzine di sugo, di nuovo una spolverata di pepe, una spruzzata di menta in polvere.
Per rendere esotica la ricetta ho inserito 1 cucchiaino di cumino e una grattugiata di zenzero (ginger) .. anche perchè a Londra ho avuto modo di apprezzare diverse volte la cucina indiana e le sue spezie.
Cuocere al forno, precedentemente pre-riscaldato, per 30 minuti a 180 gradi



Al termine di questa seconda cottura (10 minuti al fornello e 35 minuti al forno) mescolare per bene e se si vuole una pietanza più morbida bagnare con un coppino di brodo caldo, coprire con della carta argentata e rimettere al forno per altri 10 minuti


Piccole curiosità :
1 - la bistecca di soia pesa 10 grammi ... con la reidratazione raddoppia il peso
2 - Il costo della confezione contenente la Bistecca di Soia (200 g) è di € 2,50
3 - Il costo della confezione contenente lo Spezzatino di Soia (300 g) è di € 2,60


E per finire ... un tocco di "bellezza e di gusto" ... foglie fresche di basilico e di menta