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martedì 29 gennaio 2013

Campotosto, il lago dalle mille vite

Una pedalata invernale sull’anello del Lago di Campotosto con Lucio De Marcellis e Angela Aurini del Coordinamento Ciclabili teramane, per celebrare la futura grande provincia L’Aquila- Teramo.


L’aria è tersa, i colori rendono il paesaggio intenso.
I volatili toccano l’acqua, pescano forniti da madre natura di un becco adunco. Volteggiano come aquiloni in un silenzio irreale.
Più in là le folaghe agitano le ali, spruzzando gocce tutto intorno.
Calme e silenziose, bianche anatre si muovono con passo lento, tra i canneti.

In cielo vola qualcosa simile a un piccolo falco.
Alcuni pescatori tirano su le canne e guizzano, irrimediabilmente perduti, un coregono e un cavedano.
Questo brulicare di vita anima le sponde del più grande bacino artificiale d’Europa, il lago di Campotosto.

Siamo in pieno territorio protetto, abitato dal lupo appenninico, da rapaci e uccelli migratori che qui utilizzano aree di sosta nel lungo viaggio verso il caldo.

Per il consueto itinerario turistico in bici, Lucio De Marcellis e la moglie Angela, hanno deciso di testare per voi un percorso che sconfina in territorio aquilano, in onore della mega provincia Teramo L’Aquila, che presto sarà realtà.
Questo posto incantevole diventa autentico paradiso in inverno.

Partiamo in sella dalla sommità della strada panoramica che sale da Ortolano.
Il lago con le sue tre dighe è semi ghiacciato ma la temperatura ben si presta per la pedalata programmata.
Si punta verso il paese di Campotosto percorrendo la sommità della prima delle tre dighe, quella che ostruisce il torrente Rio Fucino.

La strada, quasi in piano permette la passeggiata a qualsiasi gamba.
La quota di altitudine è intorno ai 1330 metri circa (la superficie del lago è a quota 1313).

Da queste parti, ricorda l’amico Lucio, usava sostare, per diverse settimane durante l’estate con il suo camper, il poeta dialettale prof. Alfonso Sardella.
Da qui il poeta teramano partiva per le sue incursioni in bici verso il territorio reatino e aquilano.

Più avanti c’è la chiesetta di Santa Maria Apparente, appena fuori il centro abitato di Campotosto.

Secondo la tradizione sarebbe stata costruita per volere della Madonna apparsa il 2 luglio 1604 a un contadino della zona.
Fin dai primi decenni del secolo questo era il Piano di Mascioni.

Osservando vecchie foto d’epoca, si scorgono campi orizzontali a perdita d’occhio e tanto bestiame al pascolo.
Oggi vacche e pecore stazionano sul valico delle Capannelle, cinque chilometri sotto.
Al posto del lago c’era un altopiano conteso per anni dalla popolazione aquilana e quella della vicina Amatrice.

Nel 1318 vi si svolse una tremenda battaglia e Buccio di Ranallo, capitano di ventura dell’Aquila, dopo la sua vittoria, in segno di scherno, fece mozzare le code a tutte le bestie possedute dai nemici.

Dopo una breve salita, giungiamo al paese di Campotosto.

Fra le leggende che popolano questi luoghi, c’è quella del feroce brigante Tosti. Nessuno può giurare sia esistito davvero.
Pare che, dopo anni di selvagge scorribande con i suoi tagliagole, si trasferì in pianta stabile nel paese che da lui prese il nome.

In piazza incontriamo Gino Carli il cantoniere, vecchio amico di mio padre, che ci offre un buon caffè in piazza.
L’uomo ricorda ancora la ferrovia che correva da Capitignano verso il capoluogo aquilano, trenta chilometri in due ore, per trasportare torba.

Si estraeva il combustibile grazie a 1500 operai, al ritmo di 60.000 tonnellate l’anno per far muovere caldaie a vapore, locomotive e alimentare vecchie caldaie e cucine economiche.

Un impianto di teleferiche di tre chilometri, sorvolava la valle e quindici locomotive e 250 vagoni trasportavano il materiale estratto verso la stazione ferroviaria di Capitignano.

Da qui la torba era destinata a L'Aquila, Sulmona, Roma.

Oggi un grande progetto di ciclabile sull’antico percorso ferroviario è caldeggiato a più riprese dalle associazioni ambientaliste.

Lucio De Marcellis vedrebbe bene in uno degli edifici in disuso di Campotosto, un interessante “Museo della ex ferrovia e della torba”.
Il cantoniere vorrebbe farci rimanere a pranzo.
Sarebbe la fantastica occasione per assaggiare i famosi “coglioni di mulo”, salumi squisiti, specialità gastronomica dal nome poco invitante che nasconde una bontà assoluta!
Non ci facciamo tentare.

Riprendiamo a pedalare.
Una lieve discesa e intravediamo, nei pressi della riva dell’invaso, l’antica strada e il vecchio ponticello, in funzione prima che la piana fosse riempita d’acqua.

Negli anni Quaranta fu sbarrato il tranquillo corso del Rio Fucino, imbrigliato più di un torrente in affluenza dal versante occidentale della Laga, creando il lago, oggi di quattordici chilometri quadrati.

I ricchi pascoli che sfamavano greggi e mandrie di cavalli, scomparvero.
I pastori e gli operai conobbero la triste via dell'emigrazione.
In breve arriviamo al bivio per Poggio Cancelli.

La strada prosegue biforcandosi, verso Amatrice o verso Montereale.
Dopo molti zig zag e lievi saliscendi ecco il mitico “Ponte delle stecche”, chiamato così perché un tempo era di legno, poi sostituito da un manufatto in cemento armato (oggi non più in uso) che corre parallelo all’attuale nuovo ponte e che consente di attraversare il lago per far ritorno al punto di partenza.

Qui c’è la terza e più imponente diga.

Volendo prolungare la pedalata, si può proseguire verso il ramo lacuale chiamato Lago di Mascioni.
La forma a Y del lago di Campotosto e di Mascioni, osserva Angela, rievoca il Lago di Como e di Lecco di manzoniana memoria.

Altre notizie del percorso su www.abruzzoinbici.it

Le foto degli impianti e del paesaggio prima dell'invaso oltre all’affascinante e sconosciuta storia dei luoghi, si possono trovare nell’economica pubblicazione di Aurelio De Santis, "Campotosto e il suo Lago", ediz. Edigrafital - Teramo-1990.



Articolo pubblicato sul N°6 di Paesaggio Teramano (Novembre - Dicembre 2012)
Chi lo desidera può visionare la rivista in *pdf oppure fare il download dello stesso *pdf).

L'articolo è stato redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

L'articolo è stato condiviso su Facebook nella bacheca di Sergio Scacchia e nella pagina "Il Mio Ararat" e su Google Plus.

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