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sabato 18 giugno 2011

A Montorio presentazione del libro di Sergio Scacchia "Il Mio Ararat" - Video in Versione Integrale


Dal 24 al 26 Giugno a Montorio a Vomano si svolgerà la manifestazione "Vetrina del Parco".

Sabato 18 Giugno c'è stata la manifestazione "Anteprima - Aspettando la Vetrina del Parco"

Appuntamento alle ore 18,00 presso la Sala Civica in Piazza Orsini a Montorio al Vomano

In programma la presentazione del Volume “Il mio Ararat” di Sergio Scacchia

Un fantastico trekking tra Laga e Gran Sasso alla ricerca di se stessi con i percorsi escursionistici di Massimiliano Fiorito e il contributo fotografico di Alessandro De Ruvo.

Il libro è a cura di Lucio Albano ed è pubblicato dalla Cassandra Edizioni di Santarelli A & C.

A seguire c'è stata l'inaugurazione della Mostra Fotografica di Alessandro De Ruvo: “I Segreti del Parco

Alla manifestazione di sabato 18 giugno sono intervenuti:

- Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri: "Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".
- Alessandro De Ruvo
- Massimiliano Fiorito
- Alessandro Di Giambattista Sindaco di Montorio al Vomano
- Gabriele Di Donato Assessore alla Cultura del Comune di Montorio al Vomano
- Marcello Maranella Direttore Ente Parco Gran Sasso e dei Monti della Laga

Ha moderato l'incontro Umberto Braccili, giornalista RAI

La manifestazione è stata integralmente videoripresa da Vincenzo Cicconi della PacotVideo e pubblicata online attraverso i canali di video-sharing e i blog gestiti dalla stessa PacotVideo.

Il video è stato pubblicato anche all'interno della pagina fans della PacotVideo su Facebook

giovedì 16 giugno 2011

Sul tetto d’Abruzzo. La rocca di Calascio!

I corvi dominano sulle mura, assediano quasi la torre cilindrica e i monconi di pietra bianca.

Un gheppio plana dolcemente su di un arbusto.

Il luogo evoca cruenti duelli all’arma bianca, un tempo teatro di battaglie, oggi luogo silente.

Per secoli la zona è stata di transito per monaci in viaggio verso la Baronia di Carapelle, imperatori padroni della vita e della morte del popolo, poveri pastori confusi tra le bestie.
Oggi é un luogo straordinario, immerso nel silenzio profondo.

Non c’è momento migliore dell’anno che la primavera per visitare la misteriosa Rocca di Calascio, una delle fortezze più alte d’Italia, a picco sulle valli del Tirino e della piana di Navelli, ai margini di Campo Imperatore, piccolo Tibet d’Abruzzo.

Le torme di turisti estivi sono lontane.
È il castello per eccellenza, nelle forme classiche del Quattrocento, quello che ogni bambino immagina nel suo mondo di fiabe.

Qui sono nate infinite pellicole medioevali tra le quali “Lady Hawke” con Michelle Pfeiffer e Rutger Hauer, bellissima storia di due innamorati divisi per sempre da una terribile maledizione che trasformava di notte l’uomo in lupo e di giorno la donna in falco, impedendo ai due di vivere insieme.

Costruito intorno all’anno Mille, il castello ha i suoi momenti storici più importanti, negli anni dal 1480 al 1530, quando la famiglia Piccolomini realizzò quattro torri ricostruendo l’abitato distrutto da un furioso terremoto nel 1461.
Il nobile non era certo un mecenate.

Proprio sotto il borgo fortificato, passava un’arteria importantissima per l’economia locale: il tratturo Magno che collegava l’Abruzzo con tutto il Centro- Italia da Firenze a Napoli, determinando un flusso considerevole di commercio.

Fu così che il Duca Antonio, nipote di Papa Pio II, genero di Ferdinando Primo di Aragona, signore di Napoli, si stabilì in questo posto, lo stesso dove più tardi giunsero anche i Medici, Granduchi di Toscana.

Questa notevole opera militare, che ha ospitato condottieri come Riccardo d’Acquaviva e Carlo D’Angiò, vanta una torre centrale larga dieci metri, costruita impiegando una tecnica muraria particolare, dove i primi tre metri sono in muratura regolare, gli altri in pietra appena sbozzata.

La torre fu integrata più tardi dalla cortina muraria e da altre quattro torri cilindriche sorrette agli angoli da basamenti ancorati sulla nuda roccia.
C’è anche una chiesa che non ti aspetti, singolare e rinascimentale, in pianta ottagonale, fondata alla fine del ‘500 che, a una vista sommaria, sembrerebbe stonare con l’insieme ma che invece riesce a formare il classico valore aggiunto di pregevole fattura.

Tutto il territorio con i suoi aridi altipiani ha conservato il fascino di una landa antica in cui il tempo pare essersi fermato.

Per raggiungere questo posto incredibile, prendete l’autostrada per Roma, uscita Aquila Est, strada statale 17 direzione Pescara e poi, dopo 18 chilometri girate a sinistra per Barisciano, strada provinciale per Calascio, tre chilometri tortuosi e in bilico su di una piana incredibile fin su la rocca.

Per chi ha piedi buoni, consiglio di salire scarpinando, così da gustare fino in fondo il panorama.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".

martedì 14 giugno 2011

67° Anniversario della Liberazione di Teramo

Si è svolta a Teramo la celebrazione del 67° anniversario della Liberazione di Teramo.
La manifestazione è stata organizzata dall'ANPI di Teramo con la partecipazione del Comune di Teramo e della Provincia teramana.

Le videoriprese sono state realizzate da Vincenzo Cicconi della PacotVideo.



In via Cesare Battisti, largo Madonna delle Grazie, c'è stato un omaggio con deposizione di una corona d'alloro alla lapide dei teramani fucilati il 13 giugno 1944.
Successivamente i partecipanti hanno effettuato un corteo celebrativo e si sono recati a dare il loro omaggio, con un'altra corona d'alloro, alla lapide dei Caduti Partigiani, nei pressi del Municipio di Teramo, nei pressi di Ercole Vincenzo Orsini.

La manifestazione è proseguita all'interno della Sala Conciliare del Comune dove il segretario della sezione A.N.P.I di Teramo, Mirko De Berardinis, ha gestito i vari relatori che sono intervenuti:
1 - ANGELO PUGLIA, Presidente Consiglio Comunale di Teramo,
2 - ANTONIO TOPITTI, Presidente sezione A.N.P.I. di Teramo,
3 - ANTONIO FRANCHI, Presidente Provinciale A.N.P.I. di Teramo,
4 - PIERO CHIARINI, Presidente dell'associazione "Teramo Nostra",
5 - MAURIZIO BRUCCHI, Sindaco della città di Teramo,
6 - WALTER CATARRA, Presidente Provincia di Teramo
7 - MICHELE ARCAINI, partigiano combattente a Bosco Martese
8 - MIRKO DE BERARDINIS che ha letto "Cronache della Liberazione di Teramo"
9 - MARIO DE' NIGRIS, comandante di formazioni partigiane armate durante la Resistenza

Al termine è stato proiettato il docu-film "I Gigli del 44" con riprese e montaggio a cura della PacotVideo





Il video ha una durata di circa 50 minuti ed è stato pubblicato su tre canali di video sharing gestiti dalla PacotVideo:
(YouTube - Vimeo - Blip.TV).

E' stato pubblicato su tre blog anch'essi gestiti da Vincenzo Cicconi della Pacotvideo:

- blog della Città di Teramo
- blog della PacotVideo
- blog di Pensieri Teramani

E' stato pubblicato sulle pagine Facebook:
1 - Produzione Video a Teramo (Abruzzo) - PacotVideo.it di Cicconi Vincenzo
2 - Il blog della città di Teramo e della sua Provincia
e sulle pagine di Google Plus
1 - PacotVideo di Cicconi Vincenzo
2 - La Città di Teramo e la sua Provincia

Infine la pubblicazione del video è stato comunicato attraverso Twitter
1 - PacotVideo di Cicconi Vincenzo
2 - Città di Teramo

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sabato 11 giugno 2011

La faccia sconosciuta della Provincia: la Valle del Fino

Resta sempre difficile spiegare perché una valle tra le più affascinanti dell’entroterra teramano come quella solcata dal fiume Fino, sia così trascurata e sconosciuta.
Eppure basta prendere l’auto e da Villa Vomano, seguendo la panoramica “365” che porta fino a Bisenti e Arsita, scorazzare senza meta per avere l’impressione di conoscerla da sempre.

E’ di certo un’area tra le più nascoste d’Abruzzo, ma anche tra le più belle in assoluto.
Il fiume omonimo attraversa questo pezzo di territorio, prima di unirsi all’abbraccio gorgogliante delle acque del Tavo.

La natura incontaminata, gli scorci incantevoli, la storia, le tradizioni antichissime, i monumenti e testimonianze di un passato glorioso, sono questi i valori aggiunti per una terra di colture e di vita contadina, zona di piccole proprietà e di onesto e quotidiano lavoro.

Un paesaggio letterario che io conoscevo sin da piccolo.
Mio padre, autista dell’Istituto Nazionale Trasporti, oggi Arpa, per lunghi anni ha guidato tra queste strade tortuose che s’insinuano lungo i fianchi delle colline, un bus pieno di studenti e lavoratori che da luoghi come Poggio delle Rose, Montefino, Castilenti, Cermignano, Castiglione Messer Raimondo, Bisenti, Arsita, ogni mattina raggiungeva Teramo per ripartire a pomeriggio inoltrato.

Io, quando il babbo me lo consentiva, ero dentro questo torpedone a saggiare gli umori del “popolo in cammino”.

Ricordo che posavo spesso lo sguardo sui colori che il sole esaltava dai finestrini della corriera, creando distanze assurde, giocando con ombre e spazi di luce, rivelando scorci inattesi, lasciando estasiati gli occhi di un ragazzo che a quel tempo non capiva di quale grande amore per la propria terra, sarebbe stato colpito in età adulta.

La valle del Fino è un susseguirsi di dolci colline, boschi, campi coltivati, sempre dominati dalla mole possente e aspra ma in qualche modo rassicurante, della dolomia del Gran Sasso.

Ancora oggi questo spicchio di provincia, è un mondo che ispira, spinge a confrontarsi con la grandiosità della natura e a interagire con essa.

Borghi medioevali, case raccolte tutte intorno ad antiche piazze dove si affacciano chiesa e palazzi signorili.

E poi, colline che cedono il posto a uliveti interrotti solo da nastri d’asfalto che s’inerpicano verso piccoli centri ad alta vivibilità. Montefino, ad esempio, è un piccolo paese immerso tra calanchi affascinanti e con la storia improbabile del suo nome cambiato più volte in Montefiore, Montesecco fino all’attuale.
Merita attenzione il borgo di Bisenti che pare vivere in una sorta di dolce arrendevolezza, popolata da gente tranquilla che ha assimilato la quiete dei vicoli.

La vita qui ha un diverso valore rispetto a esistenze urlate e portate oltre ogni limite.

E’ ancora lo specchio di un mondo in cui la vita era regolata dalla creatività degli uomini e le mani erano l’unico strumento cui demandare il destino.

Alla fine della valle, si scopre la rassicurante bonomia della gente di Arsita, tra colline da quadro impressionista.

E’ la tavolozza cromatica di un paese millenario, dove gli scavi del Monte Bertona, hanno fatto rifiorire testimonianze di protostoria, capanne quadrate che risalgono al Paleolitico superiore.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".

mercoledì 8 giugno 2011

L’arte del vino

Gesù, nell’Ultima Cena, alzando il calice, rese il vino, insieme al pane l’elemento costitutivo dell’Eucarestia e della vita di ognuno di noi.
Probabilmente a questo episodio, il più importante di quelli tramandatici dai Vangeli, la vite deve molte delle sue fortune.

L’Abruzzo contadino ha una solida tradizione di terra ricca di vitigni e inventiva che regala vini eccellenti per purezza, gusto e aroma anche in pezzetti di terra considerati minori per la produzione vitivinicola.

Uomini coraggiosi fanno comunque emergere un territorio che ha molto da far scoprire.

La storia di Renato è simile a quella di tanti di essi.

Siamo nelle colline alte, quelle a ridosso dei Monti Gemelli tra Campli e Civitella del Tronto.
Di quel pezzetto di terra qualche anno fa lui si era proprio dimenticato.
Poco meno di venti pertiche, misura agraria usata nelle nostre campagne, quindici di esse fanno un ettaro.
Lo aveva ereditato tempo addietro dal nonno ed era incolto.

Poi un giorno il nostro amico, una vita di ufficio e scartoffie ad Ascoli Piceno, è andato finalmente in pensione, i figli ormai grandi ed ecco che è scattata quasi naturale, la felice intuizione.

Renato ha tolto faticosamente le erbacce, ha pregato un amico agricoltore di aiutarlo a una buona aratura, ha scoperto i segreti più reconditi della semina e della concimazione e, con macchinari inizialmente in prestito, ha reso il terreno, un piccolo tesoro.

Ha creato il suo mondo dai filari di viti, sopravvissute a prolungata incuria, sostenute oggi da meli, peri, ulivi, alternati a piccole strisce coltivate a frumento.
È l’antico metodo dell’”alteno”, un campo coltivato con piante di viti abbinate ad altre di fusto per far sì che la parte frondosa crei una sorta di tetto, un soffitto verde.

È una piccola vigna rupestre costruita attorno a massi di arenaria, che restituisce il sapore antico del vino “Pecorino” e quello deciso del “Montepulciano”.

“Proprio il pecorino ha qui, tra le colline che sanno già di montagna, il suo habitat naturale”, mi dice il buon Renato che oggi produce pochi quintali di nettare, un po’ per lui e altri già prenotati da clienti di vecchia data.

Poi mi racconta che il nome non è solo dato dalla storica transumanza dei pastori ma soprattutto per il particolare gradimento delle greggi verso i grappoli di uva, che si presenta con acini piuttosto piccoli, gustosi e croccanti.

Il suo minuscolo vigneto è quanto di più poetico ci possa essere.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".

martedì 7 giugno 2011

Giulia ci chiede: "Energia Nucleare ... a voi va di rischiare?"



Un video a volte riesce ad esprimere il pensiero dell'autore meglio e più di tante parole, dette o scritte.
Un video riesce ad emozionare più della parola.

Ma un video "emoziona" ancora di più se l'autrice è una ragazza adolescente (Giulia Scacchia) coadiuvata dalla sua amica (Eleonora).

Attraverso il video "Energia Nucleare ... a voi va di rischiare?" Giulia si è posto il dilemma sull'argomento del momento: affidarsi all'energia nucleare o alle energie rinnovabili?

Giulia si chiede: "E se provassimo insieme a proteggere il pianeta che ci ha dato la vita?"

Però lei, diversamente da tanti adulti, non si lascia andare all'indifferenza, ma prende una posizione ben precisa.

Il suo giudizio è implicito già nel titolo: "A voi va di rischiare?" e ci regala un suo ragionamento:

"La salute del nostro pianeta è a rischio.
L'aria che respiriamo è sempre meno pulita, le malattie da inquinamento aumentano.
Tocca a noi giovani dare un contributo: nel nucleare l'unica cosa sicura sono i rischi ..."

PS: Giulia avrebbe potuto chiedermi dei consigli sul montaggio ... ha preferito fare tutto da sola ed io non mi sono permesso di darle dei suggerimenti.
Per questo sono ancora più orgoglioso di lei.
Buon sangue non mente.

Vuoi vedere che ho scoperto di avere qualcuno a cui lasciare in eredità la mia Pacotvideo?
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Il video, della durata di 5 minuti circa, è stato pubblicato integralmente su Facebook e su cinque canali di video sharing:
(YouTube - DailyMotion di Virgilio - Vimeo - Blip.TV - Kewego) gestiti dalla PacotVideo.

E inoltre pubblicato su tre blog anch'essi gestiti da Vincenzo Cicconi della Pacotvideo:
- blog della Città di Teramo
- blog della PacotVideo
- il blog Pensieri Teramani

lunedì 6 giugno 2011

Frunti, il paese che non c’è!

La luce e i paesaggi di questo mattino primaverile, il Gran Sasso che sembra delimitare il mondo conosciuto, i monti Gemelli scuri e netti, la minuscola lingua di mare azzurrissima dietro le spalle tolgono il fiato, hanno le profondità di un Corot, la chiarità di un Monet.

Saliamo in bici verso Valle Soprano e Faieto, alla ricerca dei resti del leggendario paese di Frunti.
E chi dice che per vedere un borgo abbandonato si debba entrare nel profondo mondo della Laga e della valle del Castellano?

Alla fonte Vecchia che si trova a circa duecento metri da Valle San Giovanni, è impossibile dissetarsi.
È in gran parte ricoperta dai rovi.
Vi assicuro che è un posto bellissimo.
Qui le donne andavano con le caratteristiche conche di rame per portar acqua nelle case.

Dalla cresta si apre un bellissimo colpo d’occhio sui due Corni. Il pensiero corre ai pastori che percorrevano quest’antica strada.
Chissà che gioia per i transumanti nel rivedere il profilo amico del gigante addormentato, nel ritrovare i loro paesi, i loro cari.

L’uomo sale dal fosso verso il suo casolare rusticamente composito.
Dal ciglio della strada lo vediamo.
Chiediamo dov’è possibile trovare i ruderi dell’antica “Frunti”.
Ride divertito il dannato a vederci armati di carta topografica.

La storia del paese di Valle San Giovanni e di tutto il suo circondario è interessante non poco.
Ricordo che, anni fa, fu tracciata dal compianto storico ecclesiastico Don Giulio Di Francesco, anche grazie a studi effettuati da Don Bernardino Referza, originario di Cavuccio, parroco da queste parti per circa quarantasei anni, dal 1931 al 1977.

Lo storico risalì fin agli albori delle origini riallacciandosi alla vetusta abbazia di San Giovanni in Pergulis il cui significato, Don Giulio, lo attribuiva alla contrada ubertosa che regalava alberi da frutta e viti dorate.

Ancora oggi le colline circostanti sono ricche di vigneti e campi ben coltivati.
La storia fissa la notizia più remota al primo dicembre del 1153 quando il Vescovo di Teramo, Guido II, con una bolla papale, annetteva alla curia teramana, anche l’abbazia che sorgeva lungo un quadrilatero di borghi come Valle Soprano, Varano, Prunti o Frunti, come chiamata da qualcuno.

Era questo luogo un grande insediamento di monaci benedettini, proprietari di un buon numero di terre lavorate da contadini del posto che in cambio ricevevano parte dei raccolti.
Molti documenti parlano di questo posto come grande centro di spiritualità e umanità in tempi bui in cui la civiltà spesso era latente.
La data del 1775 fu cruciale per Valle San Giovanni perché segnò il trasferimento del culto nell’attuale chiesa della Madonna delle nevi.

Il monastero pian piano decadde e oggi non è altro che un rudere solitario che riesce comunque a evocare ai posteri un glorioso passato.
Il paese abbandonato di Frunti è stato nel basso Medioevo feudo dei “De Frunto”.
I pochi resti, secondo lo storico Niccola Palma, erano parte di un grande paese chiamato Solignano, la cui chiesa era dedicata a Santa Maria e l’abitato era sito su un antico tracciato viario.
L’importante strada conduceva, in tempi antichissimi a Pagliaroli e alla Rocca di Padula.

Nel 1286 per un breve periodo il paese fu annesso alla città di Teramo per via di una sorta di contratto fra il “Sindacus” dell’ Interamnia e Roberto I di Frunti.
Il primo intendeva ingrandire la città, il secondo donare, al minuscolo borgo, privilegi concessi solo a chi fosse annesso alla grande “civitas”.

Tutto ciò durò fino al 1338, quando Frunti tornò ad essere autonomo.
Nel 1457 ritroviamo il luogo annesso alla contea di Montorio al Vomano, per poi, intorno al ‘700, riunirsi a Valle San Giovanni, centro di assoluto prestigio dell’epoca grazie anche ai benedettini e al convento di cui sopra.

I resti del paese sono poca cosa ma è un’intrigante appendice di un mondo fantastico, tra monconi di pietra, erbacce colonizzanti e mura pericolanti avvolte dal mistero e da rovi e caprifichi.

La nostra visita all’antica Frunti finisce qui.

Proviamo a continuare l’ascesa sulla stradina bianca per raggiungere il tratturo che collega, sulla cresta della collina, il “Passo dell’asino”, all’antica strada per San Giorgio.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".
Foto di Lucio De Marcellis.

domenica 5 giugno 2011

La Salaria dei carbonai

L’antica consolare Salaria che unisce Roma con le coste del piceno, è un autentico “museo diffuso”, tra i confini del parco nazionale Gran Sasso Monti della Laga e quello dei Sibillini.

Parliamo di un itinerario da vivere tra castelli, rocche, conventi, borghi antichi e paesaggi di roccia, l’antica “via dei pellegrini” che portava i fedeli al santuario mariano di Loreto, snodo sacro tra il convento della Madonna del Lambro di Montefortino e la via dei farfensi.

Il paese da visitare assolutamente è Arquata del Tronto.
Qui il folclore è legato ai Sibillini, magici monti dove, da sempre, la fantasia popolare ha individuato inquietanti presenze, quali la Sibilla e la Fata Alcina.

Alle più antiche leggende si sommano recenti memorie storiche; per questo, nel mese di agosto, è celebrata la presenza della Regina Giovanna nella Rocca di Arquata e la discesa delle Fate a Pretare.

A pochi tornanti, c’è il piccolo villaggio di Quintodecimo, un tempo importantissimo comune che raggruppava fino alla metà dell’Ottocento, sette frazioni di montagna, inerpicate su creste rocciose e castagneti rigogliosi. Al di fuori del piccolo centro sono evidenti i resti di uno dei ponti più antichi dell’Abruzzo e delle Marche.

Il manufatto, che aveva resistito alle intemperie del tempo e l’incuria dell’uomo, fu divelto da una delle proverbiali piene del fiume Tronto.

Salendo sopra il paese, nel sottobosco, è facile trovare piazzole, un tempo utilizzate, soprattutto nel periodo fra le due guerre, per costruire carbonaie.

I più vecchi ricordano che, nella tarda primavera, dal bosco salivano fili di fumo provenienti dal foro superiore delle caratteristiche strutture a cono che erano innalzate da questa gente rude che si assoggettava a una vita durissima di stenti.

I boschi hanno contribuito, prima dell’avvento del petrolio e del gas, a rendere facile la combustione per far muovere locomotive e riscaldare le case.
La produzione del carbone era favorita anche della povertà di risorse che il territorio offriva.

Il mestiere del carbonaio è scomparso e non rappresenta un’attività lucrativa ma rimane una risorsa culturale che affonda le radici nel cuore delle popolazioni locali.

I carbonai partivano nei mesi di settembre e ottobre con maglie e calzettoni di lana dentro un sacco di iuta, qualche manico di legna per l’accetta, la roncola, la lima e un pezzo di lardo che con polenta e pane, costituiva il pasto dell’artigiano.

Erano uomini che avevano imparato a capire gli umori e le collere dei venti, che si fermavano solo per mangiare quel pezzo di pane povero seccato in madie di legno e che trascorrevano le notti in piccole capanne di frasca e terra, capostipiti delle famose “pinciare”.


Uomini che molto somigliano a quelli delle Alpi, perché i loro volti sono uguali in qualsiasi sperduto angolo di montagna si trovino.

L’uomo e la natura hanno convissuto per secoli in simbiosi perenne e il carbonaio è stato parte integrante del bosco durante la composizione del carbone, confondendosi nell’insieme con il suo viso nero di fuliggine e terra in un incredibile contrasto tra le tinte monocrome di questi sguardi fieri e i colori della natura.

La tristezza in fondo agli occhi per una vita di stenti, che si contrappone alla felicità del canto armonioso degli uccelli nel bosco.

Sembra tutto una favola.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".

venerdì 3 giugno 2011

Il popolo delle due ruote alla "Biciclettata adriatica"

Una moltitudine di ciclisti ha invaso il due giugno festa della Repubblica, la costa abruzzese e marchigiana, da San Benedetto del Tronto a Francavilla, in occasione della prima edizione della "Biciclettata adriatica" passeggiata in bicicletta sul cosiddetto "corridoio verde adriatico" con lo scopo di sensibilizzare cittadini e istituzioni sui temi della mobilità sostenibile.

Coinvolte due Regioni (Marche e Abruzzo), quattro province (Ascoli Piceno, Teramo, Pescara e Chieti) e undici comuni in un serpentone di bici partito, in contemporanea, da San Benedetto e da Francavilla, intorno alle ore 8.30, per ricongiungersi a Pineto attorno alle 13.00.

La passeggiata, organizzata dai Comuni di S.Benedetto del Tronto, Giulianova e Pineto, nell'ambito del progetto Europeo Civitas, e dal CCiclAT e PescaraBici, ha visto circa 500 i ciclisti coinvolti nelle diverse "stazioni", con oltre 300 pedalatori giunti a Villa Filiani dove sono stati accolti dal Sindaco Luciano Monticelli, che ha fatto gli onori di casa.

Presenti anche, per San Benedetto del Tronto, l'assessore alla viabilità Settimio Capriotti, e per la Provincia di Teramo il consigliere Flaviano Montebello, oltre ai rappresentanti delle associazioni coinvolte nell'organizzazione.

Nel pomeriggio l'area marina protetta Torre di Cerrano, in collaborazione con Provincia di Teramo e Istituto Zooprofilattico, ha aperto le porte dell'antica torre di Cerrano, per visite guidate con il direttore della riserva, Fabio Vallarola.

"Un ringraziamento particolare - ha dichiarato il Coordinamento Ciclabili Abruzzo Teramano (CCiclAT) - va a tutte le associazioni e enti che ci hanno supportato.

In particolare ai vigili urbani dei comuni attraversati, alla Croce Rossa e ai diversi gruppi di protezione civile che ci hanno dato assistenza durante il percorso oltre alle associazioni che hanno curato i punti di partenza e arrivo (Pescara Bici, Legambiente, WWF, Italia Nostra, Exclamè, Buendia, Bici Mobilità Pescara, Scuola Blu Martinsicuro, Task Force Ambientale Alba Adriatica) e alle altre che hanno contribuito alla riuscita della manifestazione."

"Pedalando - ha continuato il CCiclAT - abbiamo incontrato diverse piste ciclabili ma anche tratti dove la viabilità ciclistica è ancora inesistente, e vogliamo sensibilizzare gli amministratori sulla necessità di creare una rete di percorsi ciclabili, oltre che di mettere in atto politiche per la mobilità sostenibile, affinchè ci si possa spostare sulla bicicletta non solo per sport o per divertimento ma anche per le esigenze della vita quotidiana".

Le associazioni hanno anche sottolineato la necessità che la Regione Abruzzo si doti presto di una legge sulla mobilità ciclistica, tra l'altro già presentata in regione, per coordinare interventi e risorse.

Non solo una passeggiata all'aria aperta, quindi, ma una vera e propria richiesta di un cambiamento di mentalità che deve mettere il cittadino al centro delle politiche urbane e territoriali degli Enti.

Non solo piste ciclabili, ma città ciclabili.

Il popolo dei pedali avanza, ne sentiremo ancora parlare.

Ecco il reportage fotografico di Lucio De Marcellis della biciclettata dello scorso 2 giugno, manifestazione per pubblicizzare il "Corridoio Verde Adriatico" a cui hanno partecipato quasi 500 persone su due ruote.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".

giovedì 2 giugno 2011

In sella tra insoliti scenari - Attraversando la splendida ciclo ippovia del Parco dei Calanchi

Contro il cielo, le sagome dei dirupi di creste nude destano meraviglia.
Il sole settembrino brucia ancora.

I cavalli, leggeri, eleganti, avanzano lenti con sinuoso incedere sul manto erboso, quasi paciosi.

Uno dei cavalieri afferra una piantina di liquirizia e me la porge invitandomi a succhiare.

L’itinerario procede tra voli di piccoli rapaci, canne che frusciano al vento e dolci pianori invitanti denudati da secoli di pascolo.
Oggi probabilmente è la giornata in cui l’uomo si ricongiunge alla natura.

Come uno scenario immutato da secoli, le bolge da inferno dantesco disegnano la genesi dei paesaggi argillosi, avvinghiandosi alla vegetazione a fondo valle e convivendo a fatica con il lavoro e gli interessi dell’uomo.

Ai lati, sovente, si aprono ampi burroni con ripidi versanti spogli che di colpo si colorano grazie a piante di carciofi selvatici, ginestre, biancospini e rose canine.
I calanchi, aspri e maestosi, appaiono in tutta la loro potenza, impercorribili e indomabili.

La sensazione di libertà che il cavallo sa dare, ben si concilia con queste colline dolci, rigate da campi di erba medica, che d’improvviso paiono comprimere il senso dello spazio, rivelando paesaggi disegnati dal rasoio brutale dell’uomo.

La Riserva naturale regionale dei calanchi di Atri si è dotata di una straordinaria e naturale arteria di collegamento del territorio, una ciclo ippovia, che dà la possibilità di vivere in assoluta tranquillità le meraviglie di un territorio dove la potenza trionfante della natura è parte essenziale della grandezza del creato.

Il sentiero di poco meno trenta chilometri, è stato inaugurato lo scorso anno, grazie ad una collaborazione del WWF e l’azienda agricola Caldirola che l’ha finanziata.

Il tracciato assicura il piacere dell’emozione e della scoperta tra panorami sempre mutanti, è interamente guidato, con pannelli didattici pensati per valorizzare e far conoscere la flora e la fauna del territorio, le formazioni geologiche, i fossili, l’archeologia e i prodotti delle aziende agricole presenti in Riserva.

E’ un itinerario di straordinaria armonia, ci fa sapere Adriano De Ascentiis, Direttore del parco, adatto sia all’endurance, sport equestre nel quale il binomio cavallo-cavaliere si fonde in prove di regolarità o velocità, ma anche a impavidi ciclisti in sella a mountain bike o attempati camminatori.

Il percorso si sviluppa fuori dalle direttrici più comuni e che attende chi a piedi, in bici o a cavallo ha gli occhi curiosi di chi non uccide la meraviglia e vede le impronte digitali di Dio disseminate ovunque.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".

mercoledì 1 giugno 2011

Il colore della natura: visita a Castel Cerreto

I finestrini dell’automobile incorniciano un paesaggio placido e tipico di alta collina, fatto di linee orizzontali parallele blu e verdi.

Il silenzio raggiunge una dimensione concreta quasi da poterlo toccare.

Basta spegnere il motore, scendere dall’auto, fare pochi passi a piedi oltre il margine dell’asfalto per catapultarsi in un mondo diverso e ascoltare le voci di quel silenzio.

Il primo suono che accoglie il visitatore nella riserva regionale di Castel Cerreto a Penna Sant'Andrea, arriva dal torrente e dallo stagno artificiale, chiuso in parte dalla vegetazione, ambienti dove dimorano tritoni, macroinvertebrati, numerosi insetti alati, creature quasi invisibili ma stupende nella loro fragilità.

La riproduzione di questi luoghi affascinanti e pieni di vita, permette di vedere un ambiente ormai raro, viste le violenze dell’uomo che invade ovunque la terra per costruire case.

Le ninfee sono il luogo del riposo per le rane, i coleotteri e le libellule.
Poi, di là della zona umida, si aggiunge lo stormire del bosco.

Tra alberi che paiono messi lì a rappresentare la verticalità del mondo, ricchi di vitalità e pieni di volatili, si trovano anche vecchi tronchi morti e marcescenti, rifugi sicuri per insetti come cervi volanti o le api solitarie, che hanno bisogno di legno fradicio per i loro stadi larvali.

I funghi, i muschi e i licheni rendono il tronco morbido così da permettere l’insediamento di millepiedi, ragni e formiche.
Molti predatori che si cibano di questi animali, tra cui i picchi, chiudono la catena alimentare.

Sopra la testa, appena visibile, il cielo pare un’ autentica pista blu.

La presenza umana sembra più lontana di quello che effettivamente è, finché il silenzio solenne della natura non è rotto dal canto degli uccelli.

Tutto sembra immobile ma all’istante tutto diventa movimento, tra alberi che danzano al vento, uccelli che si alzano in volo, canneti che frullano come impazziti per la brezza.

Percorrere i facili e brevi sentieri di questa minuscola riserva regionale è un privilegio che si ottiene facilmente.

Basta raggiungere la frazione Pilone di Penna Sant’Andrea, pochi chilometri da Teramo e da Val Vomano, mezz’ora dalla A14 sulla statale 81.

Sono percorsi di poco più di un chilometro fruibili da tutti, dotati di aree picnic, accurata tabellonistica di piante e animali, aule di studio per educazione ambientale con botanici e entomologi, workshop teorici e pratici per foto naturalistiche, servizio Foresteria e punti di osservazione birdwatching per appassionati.

I minuscoli tracciati portano a scoprire anche un’area faunistica dedicata al capriolo che si affaccia su campi coltivati con uliveti, vigneti e pascoli.

Il sentiero lungo porta, invece, in poco più di cinque chilometri a scoprire il vecchio tracciato che univa Penna e le frazioni Trinità e Capsano con il bosco oggi protetto, scoprendo il “fosso della Scarpa”, ricco di piante di liquerizia e scorci indimenticabili del Gran Sasso, dal monte Camicia incombente su Castelli, fino al Paretone del Corno Grande e i monti della Laga.

La visita alla riserva è un gradito ritorno alla natura in un insieme di micro ambienti riflettenti l’ordine e le regole della “vita naturale”.

E’ l’occasione sempre più rara di osservare i cicli naturali delle specie, toccare quasi la trasformazione della materia, comprendere le relazioni, le dipendenze tra gli organismi viventi e non, per capire come le varie forme di vita si autoregolino per utilizzare al meglio spazi e risorse.

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La Riserva naturale controllata Castel Cerreto è una area naturale protetta dell'Abruzzo, istituita nel 1991.
Comprende un'area di circa 70 ha, situata interamente nella frazione Pilone del comune di Penna Sant'Andrea, in provincia di Teramo.

La riserva è strutturata con 4 sentieri principali, tramite i quali è possibile osservare la flora e fauna tipica del luogo, oltre ad uno stagno, c'è anche una aula verde didattica, dove è possibile svolgere delle lezioni, aiutati dagli immancabili cartelli, che indicano le specie arboree.
(Fonte: Wikipedia)

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".