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lunedì 6 giugno 2011

Frunti, il paese che non c’è!

La luce e i paesaggi di questo mattino primaverile, il Gran Sasso che sembra delimitare il mondo conosciuto, i monti Gemelli scuri e netti, la minuscola lingua di mare azzurrissima dietro le spalle tolgono il fiato, hanno le profondità di un Corot, la chiarità di un Monet.

Saliamo in bici verso Valle Soprano e Faieto, alla ricerca dei resti del leggendario paese di Frunti.
E chi dice che per vedere un borgo abbandonato si debba entrare nel profondo mondo della Laga e della valle del Castellano?

Alla fonte Vecchia che si trova a circa duecento metri da Valle San Giovanni, è impossibile dissetarsi.
È in gran parte ricoperta dai rovi.
Vi assicuro che è un posto bellissimo.
Qui le donne andavano con le caratteristiche conche di rame per portar acqua nelle case.

Dalla cresta si apre un bellissimo colpo d’occhio sui due Corni. Il pensiero corre ai pastori che percorrevano quest’antica strada.
Chissà che gioia per i transumanti nel rivedere il profilo amico del gigante addormentato, nel ritrovare i loro paesi, i loro cari.

L’uomo sale dal fosso verso il suo casolare rusticamente composito.
Dal ciglio della strada lo vediamo.
Chiediamo dov’è possibile trovare i ruderi dell’antica “Frunti”.
Ride divertito il dannato a vederci armati di carta topografica.

La storia del paese di Valle San Giovanni e di tutto il suo circondario è interessante non poco.
Ricordo che, anni fa, fu tracciata dal compianto storico ecclesiastico Don Giulio Di Francesco, anche grazie a studi effettuati da Don Bernardino Referza, originario di Cavuccio, parroco da queste parti per circa quarantasei anni, dal 1931 al 1977.

Lo storico risalì fin agli albori delle origini riallacciandosi alla vetusta abbazia di San Giovanni in Pergulis il cui significato, Don Giulio, lo attribuiva alla contrada ubertosa che regalava alberi da frutta e viti dorate.

Ancora oggi le colline circostanti sono ricche di vigneti e campi ben coltivati.
La storia fissa la notizia più remota al primo dicembre del 1153 quando il Vescovo di Teramo, Guido II, con una bolla papale, annetteva alla curia teramana, anche l’abbazia che sorgeva lungo un quadrilatero di borghi come Valle Soprano, Varano, Prunti o Frunti, come chiamata da qualcuno.

Era questo luogo un grande insediamento di monaci benedettini, proprietari di un buon numero di terre lavorate da contadini del posto che in cambio ricevevano parte dei raccolti.
Molti documenti parlano di questo posto come grande centro di spiritualità e umanità in tempi bui in cui la civiltà spesso era latente.
La data del 1775 fu cruciale per Valle San Giovanni perché segnò il trasferimento del culto nell’attuale chiesa della Madonna delle nevi.

Il monastero pian piano decadde e oggi non è altro che un rudere solitario che riesce comunque a evocare ai posteri un glorioso passato.
Il paese abbandonato di Frunti è stato nel basso Medioevo feudo dei “De Frunto”.
I pochi resti, secondo lo storico Niccola Palma, erano parte di un grande paese chiamato Solignano, la cui chiesa era dedicata a Santa Maria e l’abitato era sito su un antico tracciato viario.
L’importante strada conduceva, in tempi antichissimi a Pagliaroli e alla Rocca di Padula.

Nel 1286 per un breve periodo il paese fu annesso alla città di Teramo per via di una sorta di contratto fra il “Sindacus” dell’ Interamnia e Roberto I di Frunti.
Il primo intendeva ingrandire la città, il secondo donare, al minuscolo borgo, privilegi concessi solo a chi fosse annesso alla grande “civitas”.

Tutto ciò durò fino al 1338, quando Frunti tornò ad essere autonomo.
Nel 1457 ritroviamo il luogo annesso alla contea di Montorio al Vomano, per poi, intorno al ‘700, riunirsi a Valle San Giovanni, centro di assoluto prestigio dell’epoca grazie anche ai benedettini e al convento di cui sopra.

I resti del paese sono poca cosa ma è un’intrigante appendice di un mondo fantastico, tra monconi di pietra, erbacce colonizzanti e mura pericolanti avvolte dal mistero e da rovi e caprifichi.

La nostra visita all’antica Frunti finisce qui.

Proviamo a continuare l’ascesa sulla stradina bianca per raggiungere il tratturo che collega, sulla cresta della collina, il “Passo dell’asino”, all’antica strada per San Giorgio.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".
Foto di Lucio De Marcellis.

1 commento:

  1. La famiglia Taraschi/Ulissi li visse nei anni 1897-1902. Ma conoscevano dei Guai: http://www.angelfire.com/film/ulissi/massimotaraschi/incontro.doc

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