Non tutti i teramani colgono pienamente le bellezze dell’assetto urbano che da Piazza Martiri della Libertà, a Teramo si estende intorno al Duomo.
La cattedrale che è in posizione baricentrica, rappresenta il fulcro delle principali vie cittadine.
Nel periodo imperiale di Roma la città aveva proprio qui il suo perimetro, tra piazza Martiri, via Torre Bruciata, la via del Cardo, oggi tra il Melatino e la chiesa di S. Antonio, del Baluardo e Noè Lucidi.
Il tragitto oggi che da Porta Reale attraversa il corso De Michetti e quello intitolato a Vincenzo Cerulli, grandi personaggi teramani, un tempo il Decumano da dove partiva l’arteria principale per Castrum Novum, l’attuale Giulianova, propone oggi al turista la vista della maestosità di questa cattedrale che ha il suo pezzo forte proprio nella facciata principale.
Costruito a “cento passi” dall’antica cattedrale, oggi S. Anna, sulle rovine di un tempio pagano dedicato a Giunone e Apollo, il Duomo vide la luce nel 1158.
Una struttura unica doveva legare il tempio con il grande complesso del teatro e anfiteatro, incorporati in quelle mura del cortile dove anni fa c’era un quotato Istituto di Scienze Religiose.
La prima costruzione fu realizzata utilizzando materiali delle abitazioni distrutte dai Normanni e pietre del teatro romano.
Era il 1078, i Normanni ci invasero alla caduta del Sacro Romano Impero e i barbari saccheggiavano ovunque.
Era proprio il tempo del vescovo Berardo da Pagliara che poi divenne il patrono della città.
Qualche anno dopo, nel 1152, Roberto di Loretello rase al suolo quasi tutto, compresa la chiesa madre di allora, Santa Maria Aprutiensis, attuale S.Anna. La città fu ricostruita a opera del vescovo Guido II.
Poi, correva il secolo XIV, periodo delle Signorie, il vescovo Nicolò degli Arcioni fece realizzare la facciata che, nel corso degli anni, si arricchì di una preziosa merlatura guelfa, simbolo inequivocabilmente del potere vescovile.
Nel 1493 l’allora vescovo chiamò il Maestro Antonio da Lodi per il completamento del campanile che venne impreziosito da maioliche castellane.
Poco tempo dopo fu completata la grande campana aprutina fusa con maestria da Attone di Ruggero.
Dovremmo forse guardare con occhi diversi il nostro Duomo, soprattutto amare la nostra storia come identità e risorsa della città.
Far cadere lo sguardo ad esempio, sul portale, opera realizzata nel 1332 dall’insigne maestro romano Deodato di Cosma, appartenente al filone gotico abruzzese già presente ad Atri, Sulmona e Lanciano.
Se ci soffermassimo sui particolari scopriremmo gli stemmi della diocesi teramana, del vescovo Niccolò degli Arcioni, le sculture di Nicola da Guardiagrele, raffiguranti l’arcangelo Gabriele, l’Annunziata, il Redentore e il patrono San Berardo.
Spostandoci sul lato meridionale guarderemmo con attenzione la sporgenza semicircolare dell’abside della cappella dedicata al patrono, sotto la quale si trovano cippi e resti romani.
Tornando alla facciata principale e ammirando la scalinata, gli occhi non potrebbero non vedere gli austeri leoni che sorreggono le colonne sormontate da statue.
Il leone può essere, a ben ragione, ritenuto l’animale simbolo della città.
Sculture leonine si trovano a decorazione della fontana nella piazza dove si trova anche il palazzo comunale, a guardia del porticato dei Melatino, oggi sede Aci e del palazzo Savini.
Rappresentano la fierezza del popolo aprutino.
Vari vescovi si sono adoperati nei secoli per rendere monumentale il Duomo.
Il primo a essere ricordato non può non essere Guido II che fece erigere il monumento, poi Niccolò degli Arcioni che lo ampliò.
Le colonne interne, tutte diverse e il presbiterio notevolmente più in alto rispetto alla chiesa, denotano proprio le due strutture come erano secoli prima.
All’interno, ancora leoni, immancabili a guardia dell’ambone monumentale e della pregiata cattedra lignea, il cui trono episcopale con baldacchino sormontato dallo stemma dei vescovi aprutini conclude il perimetro della chiesa.
Si resta colpiti dal Paliotto argenteo custodito in teca sotto l’altare maggiore, opera del grande orafo Nicola da Guardiagrele.
Consta di 35 pannelli contenenti scene sacre della vita del Cristo.
A sinistra, imperdibile, la cappella di San Berardo con il Polittico, tavole lignee del ‘300 realizzate da Jacobello del Fiore, raffiguranti l’incoronazione della Vergine Maria.
Un altare barocco di pregevole fattura, custodisce l’urna con le reliquie del santo patrono.
Anche la sacrestia, che in tante chiese non ha valenza artistica, nel Duomo di Teramo riveste enorme importanza grazie anche a opere immortali di un polacco, pittore del ‘600 teramano, Sebastiano Majewski.
Correva l’anno 1622 o giù di lì quando il giovane polacco, che nel frattempo aveva firmato un ciclo pittorico con storie della vita della Madonna nel convento di Santa Maria delle Grazie a Ortona, venne chiamato a Teramo per il 500 esimo della morte di San Berardo, allorquando fu eretto un nuovo altare in onore del santo e a lui commissionarono sei tele che oggi lasciano stupefatti, chi in visita alla Basilica, si soffermi davanti all’altare in noce intagliato, in cui si ritraggono momenti della vita del patrono di Teramo.
In tarda età il grande pittore lasciò come regalo finale della sua incommensurabile arte, affreschi che ancora oggi ornano lo splendido chiostro dell’antico convento di Santa Maria di Propezzano nell’agro di Morro d’Oro, vero caposaldo del romanico aprutino, dove spicca per bellezza la scena della Visitazione dell’Angelo annunciante alla Vergine.
Uscendo colpisce di nuovo la vista il grande campanile di 50 metri con la sua parte terminale sormontata da un prisma ottagonale, realizzato da Antonio da Lodi, lo stesso che bissò il momento artistico, nella imperdibile Cattedrale di Atri
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
La cattedrale che è in posizione baricentrica, rappresenta il fulcro delle principali vie cittadine.
Nel periodo imperiale di Roma la città aveva proprio qui il suo perimetro, tra piazza Martiri, via Torre Bruciata, la via del Cardo, oggi tra il Melatino e la chiesa di S. Antonio, del Baluardo e Noè Lucidi.
Il tragitto oggi che da Porta Reale attraversa il corso De Michetti e quello intitolato a Vincenzo Cerulli, grandi personaggi teramani, un tempo il Decumano da dove partiva l’arteria principale per Castrum Novum, l’attuale Giulianova, propone oggi al turista la vista della maestosità di questa cattedrale che ha il suo pezzo forte proprio nella facciata principale.
Costruito a “cento passi” dall’antica cattedrale, oggi S. Anna, sulle rovine di un tempio pagano dedicato a Giunone e Apollo, il Duomo vide la luce nel 1158.
Una struttura unica doveva legare il tempio con il grande complesso del teatro e anfiteatro, incorporati in quelle mura del cortile dove anni fa c’era un quotato Istituto di Scienze Religiose.
La prima costruzione fu realizzata utilizzando materiali delle abitazioni distrutte dai Normanni e pietre del teatro romano.
Era il 1078, i Normanni ci invasero alla caduta del Sacro Romano Impero e i barbari saccheggiavano ovunque.
Era proprio il tempo del vescovo Berardo da Pagliara che poi divenne il patrono della città.
Qualche anno dopo, nel 1152, Roberto di Loretello rase al suolo quasi tutto, compresa la chiesa madre di allora, Santa Maria Aprutiensis, attuale S.Anna. La città fu ricostruita a opera del vescovo Guido II.
Poi, correva il secolo XIV, periodo delle Signorie, il vescovo Nicolò degli Arcioni fece realizzare la facciata che, nel corso degli anni, si arricchì di una preziosa merlatura guelfa, simbolo inequivocabilmente del potere vescovile.
Nel 1493 l’allora vescovo chiamò il Maestro Antonio da Lodi per il completamento del campanile che venne impreziosito da maioliche castellane.
Poco tempo dopo fu completata la grande campana aprutina fusa con maestria da Attone di Ruggero.
Dovremmo forse guardare con occhi diversi il nostro Duomo, soprattutto amare la nostra storia come identità e risorsa della città.
Far cadere lo sguardo ad esempio, sul portale, opera realizzata nel 1332 dall’insigne maestro romano Deodato di Cosma, appartenente al filone gotico abruzzese già presente ad Atri, Sulmona e Lanciano.
Se ci soffermassimo sui particolari scopriremmo gli stemmi della diocesi teramana, del vescovo Niccolò degli Arcioni, le sculture di Nicola da Guardiagrele, raffiguranti l’arcangelo Gabriele, l’Annunziata, il Redentore e il patrono San Berardo.
Spostandoci sul lato meridionale guarderemmo con attenzione la sporgenza semicircolare dell’abside della cappella dedicata al patrono, sotto la quale si trovano cippi e resti romani.
Tornando alla facciata principale e ammirando la scalinata, gli occhi non potrebbero non vedere gli austeri leoni che sorreggono le colonne sormontate da statue.
Il leone può essere, a ben ragione, ritenuto l’animale simbolo della città.
Sculture leonine si trovano a decorazione della fontana nella piazza dove si trova anche il palazzo comunale, a guardia del porticato dei Melatino, oggi sede Aci e del palazzo Savini.
Rappresentano la fierezza del popolo aprutino.
Vari vescovi si sono adoperati nei secoli per rendere monumentale il Duomo.
Il primo a essere ricordato non può non essere Guido II che fece erigere il monumento, poi Niccolò degli Arcioni che lo ampliò.
Le colonne interne, tutte diverse e il presbiterio notevolmente più in alto rispetto alla chiesa, denotano proprio le due strutture come erano secoli prima.
All’interno, ancora leoni, immancabili a guardia dell’ambone monumentale e della pregiata cattedra lignea, il cui trono episcopale con baldacchino sormontato dallo stemma dei vescovi aprutini conclude il perimetro della chiesa.
Si resta colpiti dal Paliotto argenteo custodito in teca sotto l’altare maggiore, opera del grande orafo Nicola da Guardiagrele.
Consta di 35 pannelli contenenti scene sacre della vita del Cristo.
A sinistra, imperdibile, la cappella di San Berardo con il Polittico, tavole lignee del ‘300 realizzate da Jacobello del Fiore, raffiguranti l’incoronazione della Vergine Maria.
Un altare barocco di pregevole fattura, custodisce l’urna con le reliquie del santo patrono.
Anche la sacrestia, che in tante chiese non ha valenza artistica, nel Duomo di Teramo riveste enorme importanza grazie anche a opere immortali di un polacco, pittore del ‘600 teramano, Sebastiano Majewski.
Correva l’anno 1622 o giù di lì quando il giovane polacco, che nel frattempo aveva firmato un ciclo pittorico con storie della vita della Madonna nel convento di Santa Maria delle Grazie a Ortona, venne chiamato a Teramo per il 500 esimo della morte di San Berardo, allorquando fu eretto un nuovo altare in onore del santo e a lui commissionarono sei tele che oggi lasciano stupefatti, chi in visita alla Basilica, si soffermi davanti all’altare in noce intagliato, in cui si ritraggono momenti della vita del patrono di Teramo.
In tarda età il grande pittore lasciò come regalo finale della sua incommensurabile arte, affreschi che ancora oggi ornano lo splendido chiostro dell’antico convento di Santa Maria di Propezzano nell’agro di Morro d’Oro, vero caposaldo del romanico aprutino, dove spicca per bellezza la scena della Visitazione dell’Angelo annunciante alla Vergine.
Uscendo colpisce di nuovo la vista il grande campanile di 50 metri con la sua parte terminale sormontata da un prisma ottagonale, realizzato da Antonio da Lodi, lo stesso che bissò il momento artistico, nella imperdibile Cattedrale di Atri
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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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