Grazie all'amico Fabrizio Primoli! Suo l'articolo e sue le foto!
La disadorna facciata della chiesa dei frati cappuccini, a Teramo, costituisce uno dei più curiosi inganni che talvolta il mondo della storia dell’arte riserva a chiunque abbia modo di accostarsi alla visita e allo studio di un’opera architettonica.
Nulla, quel semplice prospetto frontale, rivela in realtà di ciò che questo gioiello architettonico custodisce al suo interno, né della sua storia. Storia che ha attraversato, certamente non indenne, i secoli e le vicende locali e nazionali.
Nata nel lontano 819 come complesso conventuale dedicato a San Benedetto, questa struttura ha ospitato nel 1570, dopo la partenza dei benedettini, i padri gesuiti e, cinque anni dopo, i frati cappuccini che lo abitarono fino alla soppressione del convento, avvenuta nel 1866 a seguito dell’incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello Stato italiano da poco costituitosi.
Un tempo assai più vasta di come appare oggi, la struttura ha subìto nei secoli tanti e tali rimaneggiamenti, ognuno dei quali ispirato alle logiche e alle concezioni dell’ordine che al momento la gestiva, che ne hanno profondamente alterato l’originario assetto.
Dotato di orti, di cortili e di fabbricati accessori, questo si estendeva un tempo sino ad occupare parte dell’attuale Piazza Dante Alighieri e il Palazzo della Provincia.
Con la partenza dei frati cappuccini, nel 1866, le strutture del soppresso convento subirono sorti diverse: alcuni locali vennero destinati ad ospitare il nuovo Orfanotrofio “Regina Margherita”, altri furono alienati, altri ancora furono completamente urbanizzati e destinati all'ampliamento di aree esterne di pubblica fruizione.
La chiesa, invece, rimase aperta al culto e continuò a funzionare per lo scopo per il quale venne concepita ab origine.
Riguardo a questa, che pure nei secoli precedenti si trovò a subire trasformazioni imponenti, dalle fonti storicamente attendibili emerge che fu nel periodo della presenza dei frati cappuccini che venne eliminata l’originaria ripartizione in tre distinte navate, attraverso la sistemazione in aula unica con distinte cappelle laterali, a loro volta ricavate suddividendo l’originaria navata destra.
La facciata, come detto, è estremamente semplice. Realizzata in laterizio e travertino, presenta al centro un portale sormontato da una lunetta a doppia cornice: decorazioni con mattoni squadrati nella prima, con rombi in laterizio nella seconda.
L’interno del tempio, così stridente con la semplicità della facciata, è assai ricco di opere d’arte che, nel corso dei secoli, gli ordini religiosi e i fedeli comandarono. Ammiriamo così, sulla parete sinistra, una pregevole tela del 1661, opera del veneziano Pietro Gaia, raffigurante il Cristo crocifisso ai cui lati si ergono San Francesco e San Berardo, che offre in dono la Città di Teramo.
Di sicuro impatto visivo è comunque il monumentale altare ligneo, addossato all'abside rettilineo della chiesa: capolavoro del barocco, venne realizzato nel 1762 dall'ebanista Giovanni Palombieri.
Interamente in legno di noce, l’altare è dotato di due colonne a capitello corinzio che suddividono l’area verticale in tre settori, ognuno dotato di due pannelli, anch'essi in legno, dipinti con grande maestria e raffiguranti la Vergine contornata da San Benedetto e San Francesco, nella pala centrale, e diversi santi nei settori laterali.
Questa grande opera centrale, anch'essa a firma di Pietro Gaia, risale ai primi anni del XVIII secolo ed è posta esattamente dietro uno dei più spettacolari capolavori lignei della chiesa: il tabernacolo.
Opera di Giovanni Palombieri, è ad andamento verticale, in forma di piccola cappella, ed è riccamente intarsiato e decorato attraverso un sapiente utilizzo di vari tipi di legno: noce, in principal modo, con aggiunta di elementi in acero e ulivo.
Opere senz'altro di grande impatto visivo, questo altare e questo tabernacolo rappresentano difatti autentici capolavori della scuola dei cosiddetti “maestri marangoni”, veri e propri artigiani dell’arte della scultura lignea, assai vicini all'ordine dei frati cappuccini, di gran lunga autorevoli nel centro Italia e attivi soprattutto a cavallo fra il XV e il XVI secolo.
Esiste tuttavia una interessante curiosità su questo altare che non tutti i teramani conoscono.
Tipiche realizzazioni dei “maestri marangoni”, per l’appunto, tali grandiosi altari lignei costituiscono altresì uno straordinario esempio di ingegneria: una serie di congegni meccanici azionabili manualmente permette difatti di far scorrere su binari, invisibili dall'esterno, i pannelli che ornano l’altare stesso.
I dipinti posti lateralmente, i cassettoni, i pannelli delle sovrapporte sono tutti elementi in grado di scorrere orizzontalmente e, scomparendo dietro vani occultati, aprono alla vista nicchie e armadi nascosti normalmente invisibili.
All'interno di essi, nella nostra chiesa dei frati cappuccini, sono tuttora conservate decine e decine di preziosi reliquiari, sconosciuti ai teramani, che contengono centinaia di ossa e di resti mortali dei confratelli dell’ordine che abitava il convento e dei relativi fedeli.
Una quantità incredibile di rotule, vertebre, frammenti di ossa lunghe e altre reliquie che i frati cappuccini, da sempre dediti a questa pratica religiosa, hanno avuto modo di conservare intatti.
Siamo in presenza, in sostanza, di una minuscola replica, pur con le dovute proporzioni, di quanto è presente nella cripta della chiesa di Santa Maria della concezione dei cappuccini, in Via Veneto a Roma, nella quale interi ambienti sono decorati con ossa provenienti dai cimiteri dell’epoca.
Potrebbe apparire un paragone azzardato, forse, eppure, se ci si riflette bene, in entrambi i casi si tratta di una medesima opera.
Condotta con le medesime tecniche.
E ad opera del medesimo ordine religioso.
Sotto la croce di Cristo, in fondo, le distanze non contano neppure più.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
La disadorna facciata della chiesa dei frati cappuccini, a Teramo, costituisce uno dei più curiosi inganni che talvolta il mondo della storia dell’arte riserva a chiunque abbia modo di accostarsi alla visita e allo studio di un’opera architettonica.
Nulla, quel semplice prospetto frontale, rivela in realtà di ciò che questo gioiello architettonico custodisce al suo interno, né della sua storia. Storia che ha attraversato, certamente non indenne, i secoli e le vicende locali e nazionali.
Nata nel lontano 819 come complesso conventuale dedicato a San Benedetto, questa struttura ha ospitato nel 1570, dopo la partenza dei benedettini, i padri gesuiti e, cinque anni dopo, i frati cappuccini che lo abitarono fino alla soppressione del convento, avvenuta nel 1866 a seguito dell’incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello Stato italiano da poco costituitosi.
Un tempo assai più vasta di come appare oggi, la struttura ha subìto nei secoli tanti e tali rimaneggiamenti, ognuno dei quali ispirato alle logiche e alle concezioni dell’ordine che al momento la gestiva, che ne hanno profondamente alterato l’originario assetto.
Dotato di orti, di cortili e di fabbricati accessori, questo si estendeva un tempo sino ad occupare parte dell’attuale Piazza Dante Alighieri e il Palazzo della Provincia.
Con la partenza dei frati cappuccini, nel 1866, le strutture del soppresso convento subirono sorti diverse: alcuni locali vennero destinati ad ospitare il nuovo Orfanotrofio “Regina Margherita”, altri furono alienati, altri ancora furono completamente urbanizzati e destinati all'ampliamento di aree esterne di pubblica fruizione.
La chiesa, invece, rimase aperta al culto e continuò a funzionare per lo scopo per il quale venne concepita ab origine.
Riguardo a questa, che pure nei secoli precedenti si trovò a subire trasformazioni imponenti, dalle fonti storicamente attendibili emerge che fu nel periodo della presenza dei frati cappuccini che venne eliminata l’originaria ripartizione in tre distinte navate, attraverso la sistemazione in aula unica con distinte cappelle laterali, a loro volta ricavate suddividendo l’originaria navata destra.
La facciata, come detto, è estremamente semplice. Realizzata in laterizio e travertino, presenta al centro un portale sormontato da una lunetta a doppia cornice: decorazioni con mattoni squadrati nella prima, con rombi in laterizio nella seconda.
L’interno del tempio, così stridente con la semplicità della facciata, è assai ricco di opere d’arte che, nel corso dei secoli, gli ordini religiosi e i fedeli comandarono. Ammiriamo così, sulla parete sinistra, una pregevole tela del 1661, opera del veneziano Pietro Gaia, raffigurante il Cristo crocifisso ai cui lati si ergono San Francesco e San Berardo, che offre in dono la Città di Teramo.
Di sicuro impatto visivo è comunque il monumentale altare ligneo, addossato all'abside rettilineo della chiesa: capolavoro del barocco, venne realizzato nel 1762 dall'ebanista Giovanni Palombieri.
Interamente in legno di noce, l’altare è dotato di due colonne a capitello corinzio che suddividono l’area verticale in tre settori, ognuno dotato di due pannelli, anch'essi in legno, dipinti con grande maestria e raffiguranti la Vergine contornata da San Benedetto e San Francesco, nella pala centrale, e diversi santi nei settori laterali.
Questa grande opera centrale, anch'essa a firma di Pietro Gaia, risale ai primi anni del XVIII secolo ed è posta esattamente dietro uno dei più spettacolari capolavori lignei della chiesa: il tabernacolo.
Opera di Giovanni Palombieri, è ad andamento verticale, in forma di piccola cappella, ed è riccamente intarsiato e decorato attraverso un sapiente utilizzo di vari tipi di legno: noce, in principal modo, con aggiunta di elementi in acero e ulivo.
Opere senz'altro di grande impatto visivo, questo altare e questo tabernacolo rappresentano difatti autentici capolavori della scuola dei cosiddetti “maestri marangoni”, veri e propri artigiani dell’arte della scultura lignea, assai vicini all'ordine dei frati cappuccini, di gran lunga autorevoli nel centro Italia e attivi soprattutto a cavallo fra il XV e il XVI secolo.
Esiste tuttavia una interessante curiosità su questo altare che non tutti i teramani conoscono.
Tipiche realizzazioni dei “maestri marangoni”, per l’appunto, tali grandiosi altari lignei costituiscono altresì uno straordinario esempio di ingegneria: una serie di congegni meccanici azionabili manualmente permette difatti di far scorrere su binari, invisibili dall'esterno, i pannelli che ornano l’altare stesso.
I dipinti posti lateralmente, i cassettoni, i pannelli delle sovrapporte sono tutti elementi in grado di scorrere orizzontalmente e, scomparendo dietro vani occultati, aprono alla vista nicchie e armadi nascosti normalmente invisibili.
All'interno di essi, nella nostra chiesa dei frati cappuccini, sono tuttora conservate decine e decine di preziosi reliquiari, sconosciuti ai teramani, che contengono centinaia di ossa e di resti mortali dei confratelli dell’ordine che abitava il convento e dei relativi fedeli.
Una quantità incredibile di rotule, vertebre, frammenti di ossa lunghe e altre reliquie che i frati cappuccini, da sempre dediti a questa pratica religiosa, hanno avuto modo di conservare intatti.
Siamo in presenza, in sostanza, di una minuscola replica, pur con le dovute proporzioni, di quanto è presente nella cripta della chiesa di Santa Maria della concezione dei cappuccini, in Via Veneto a Roma, nella quale interi ambienti sono decorati con ossa provenienti dai cimiteri dell’epoca.
Potrebbe apparire un paragone azzardato, forse, eppure, se ci si riflette bene, in entrambi i casi si tratta di una medesima opera.
Condotta con le medesime tecniche.
E ad opera del medesimo ordine religioso.
Sotto la croce di Cristo, in fondo, le distanze non contano neppure più.
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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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