I grandi palazzi che sovrastano l’aristocratica piazza Salotto, sono lontani, inghiottiti da un dolce paesaggio collinare, profili di campagne, greggi al pascolo, fin quando dal verde di queste piccole alture non sbucano all’improvviso borghi turriti e castelli antichi.
Da teramano avventuratosi fin qui, provo l’impercettibile rammarico di un bel territorio che un giorno era nostro, prima che fosse creata la provincia pescarese.
Di colpo la veduta cambia, l’aria si fa più frizzante, boschi, gole scoscese e piccole praterie annunciano i profili maestosi del Gran Sasso e la Maiella, alternandosi ad altopiani, piccole appendici dell’interminabile Campo Imperatore.
E’ ciò che attende il visitatore che, attraverso Penne, risale a Farindola e poi a Fonte Vetica, sotto il duro massiccio del Monte Camicia, di là di Castelli, il borgo della ceramica nel versante teramano.
È il caso di arrivare fin quassù senza fretta, magari in moto per godere di quegli odori che qui la terra emana a profusione.
La bussola indirizzata verso una parte insolita dell’Abruzzo regala il fascino sottile di passare repentinamente dalla civiltà alla natura selvaggia e arcaica.
Il nostro viaggio inizia a Penne, il centro forse più importante di quest’area ricca di storia, denominata Vestina, dal nome dell’antico popolo italico, le cui avventurose vicende venivano già cantate negli epici poemi della Roma Repubblicana.
L’antica città di “Pinna”, porta d’ingresso di una porzione del Parco Gran Sasso Monti della Laga ritenuta di eccezionale valenza storica naturalistica, si trovava al crocevia dell’importante arteria che collegava Teate (l’odierna Chieti) a sud e l’Interamnia (Teramo) a nord attraverso la valle del Fino.
Un'altra grande via partiva dalla città per Hadria, Atri città ducale, unendo i territori di Montebello da Bertone, Vicoli fino al valico di Forca di Penne, entrando poi nell’aquilano.
Assolutamente da visitare Forca di Penne, passo di montagna dove un tempo transitavano i pastori con le loro greggi durante la transumanza.
L’abitudine dello sguardo è scossa da una dissonanza architettonica: il profilo di una tozza torre dal sinistro sentore di un tragico abbandono.
Quando da lontano, nella radura selvaggia si scorge questo singolare e semi diroccato manufatto medievale, silenziosa sentinella dei monti costruita dal nulla, il viaggio acquista il suo significato: segni dell’uomo, tracce della sua storia.
Questo luogo oggi è uno dei centri più importanti in Italia per lo studio dell’ornitologia.
Di certo la torre, nei secoli bui del medioevo, doveva servire a scrutare l’orizzonte per avvistare incursioni nemiche, ma è bello credere che questi uomini avvezzi alle guerre, si dilettassero anche alla vista dell’avifauna in un rozzo e primitivo birdwatching, alla scoperta delle eleganti evoluzioni di rari volatili.
La fenditura incassata tra il Monte Incappucciata e il Picca è un luogo magico.
Impressionano le rocce che circondano, minacciose e incombenti, quasi a deprimere il visitatore, il quale però alzando gli occhi al cielo e guardando l’impressionante numero di uccelli schizzare sopra la testa, è rapito da un’emozione profonda.
Le correnti d’aria che s’incuneano in questa depressione rendono oltremodo facile il volo degli uccelli migranti.
Vivono qui rapaci come l’aquila, il falco pellegrino, il gheppio, lo sparviero, la poiana.
Sono presenti barbagianni, allocchi e picchi.
La poco elegante torre ha la base invasa dagli sterpi, intorno capre e pecore, villeggiano beate ma il fascino è rimasto anche nel rammarico di qualcosa di bello che oggi non è valorizzato a sufficienza.
Il monte Picca che sovrasta quest’altopiano a 1000 metri, rappresenta uno dei balconi da dove scoprire la bellezza della nostra terra.
Chi ha buone gambe, partendo dalla torre, attraverso una facile carrareccia, alcuni tratti nel bosco e poi su di un piccolo sentiero facile, in circa due ore di cammino può salire in vetta, superando il dislivello di 500 metri e rimanere senza fiato, non solo per lo sforzo, ma soprattutto per la bellezza del paesaggio.
È un ampio giro d’orizzonte che fa scoprire il mare Adriatico e la Maiella, la valle del Tirino e l’immane bastionata del Sirente dalle dolomitiche guglie, inoltre la rigogliosa valle dell’Aterno, una delle conche più belle d’Italia.
Come un grande attore consumato, il Gran Sasso offre una prospettiva sconosciuta, un insieme irriconoscibile quasi, ma comunque sempre severo e altero nella sua infinita bellezza.
In fondo si scorge la Rocca di Calascio con le sue pietre di bianco immacolato.
Insieme alla Riserva Naturale WWF del Lago di Penne, questo luogo dimostra la cultura per la natura che è sempre stata insita nelle popolazioni vestine.
Dal valico è assolutamente da non perdere la visita al bellissimo paese semi abbandonato di Corvara ai piedi del Monte Aquileio, con le caratteristiche case in pietra locale e alle antiche mura medioevali di Cugnoli, Pescosansonesco con il santuario del giovane Beato Nunzio Sulprizio.
A pochi chilometri c’è anche Pietranico con il bell’Oratorio di Santa Maria della Croce.
Forca di Penne è raggiungibile più facilmente da Torre dei Passeri, Castiglione a Casauria, Pescosansonesco e Corvara in territorio pescarese.
Percorrendo la A 25 in direzione Roma, poco prima delle gole di Popoli scorgerete sul crinale della montagna la torre.
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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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