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mercoledì 11 settembre 2013

Misteriose muraglie

Tratto da "Il mio Ararat" con le foto di Alessandro de Ruvo

Da Piano Vomano per il Colle del Vento e fino a Crognaleto sono quasi cinque ore di cammino, tredici chilometri con dislivello di cinquecento metri.
Niente d’impossibile, ma da un po’ di tempo sono un po’ arrugginito.

L’antica strada ricavata con strati di arenaria, è secolare.

Pare di essere in un paese finto attraversato da strade.
 Inutile, naturalmente, cercarlo sulla carta stradale.
Non è rimasto quasi nulla.
Puoi solo mettere in moto la fantasia per ritrovare millenni di presenza umana.

Qui s’incontrano felicemente storia, arte e natura, perché credo che accanto al paesaggio geografico, esiste anche quello storico che porta con sé le tracce di un passato da non dimenticare.
A volte si vede perfettamente il lastricato di pietre levigate posate su di un fondo che non so se fatto di sabbia compressa.
Altre volte il tracciato si perde tra i prati.
Resti di basolato romano si trovano anche nella boscaglia.

Dal pianoro di San Martino a novecento metri di altitudine, lì dove troviamo resti pagani, ruderi e, purtroppo, qualche rifiuto, la strada per Colle del Vento è visibile anche a chi non è esperto.
Siamo rapiti dal fascino quasi primordiale di questi luoghi.
Sembra di fare un viaggio nell’atmosfera di un tempo che circondava l’antico viandante nel suo lento incedere tra la natura, in uno scenario sempre diverso.

Il sole è un disco fioco, alto sopra i boschi che contornano la piana.
La luce che irradia è quasi simile al sussurro del vento.
Le mura megalitiche di epoca italica, autentica meraviglia archeologica, sono davvero impressionanti.
I poveri resti di un importante tempio italico del III secolo a.C. sbiadiscono, s’intuiscono appena.

In questo luogo sacro, risalente forse ancor prima dell’età del ferro, per alcuni una piccola “Macchu Picchu”, forse insediamento romano e poi tardo antico, pare che nella notte dei tempi, fosse presente un altare pagano di terra battuta dove si venerava una sorta di Dio meticcio collegato alla devozione per Iside.
Qualcuno ha ipotizzato anche ci fosse il culto etrusco di Tin il dio del firmamento e dei fulmini che qui non mancano di certo.
Credo poco a queste storie.

Un’antica leggenda parlava anche di un “capro d’oro seppellito quassù insieme ad un tesoro.
Per anni appassionati di archeologia e avidi mercenari, hanno battuto in lungo e largo il posto che non ha restituito un bel niente.
Sono invece visibili e reali, i resti del “palazzo della Regina”, circondato da orribili storie di serpenti e tesori custoditi da scheletri viventi; si notano ovunque le rozze pietre che formavano la chiesa di San Martino.

L’antica via sacra detta della “tornara”, area particolarmente ricca, era costellata da una serie impressionante di siti archeologici, molti di notevole interesse.
Forse qui arrivarono anche gli Etruschi, popolo a cavallo tra Greci e Romani, che hanno rappresentato la prima grande civiltà dell’Italia antica.
Provenienti dalla Maremma, trovarono terreno fertile.

Le foreste intorno offrivano abbondante legname per le diverse necessità delle comunità e infinita selvaggina da cacciare.
E le zone paludose, lungo il fiume Vomano, erano anche ricche di volatili.
Non si può non provare un profondo rispetto per questo luogo.
Sono le mura massicce a lasciare interdetti, rapiti dal fascino primordiale che emana un po’ ovunque.
Si rimane quasi smarriti dal percorso sacro.

Immagino cerimonie itineranti, processioni di culto verso un Dio comune a tutte le epoche.
Capisco pure perché questo posto sia stato per lunghi anni, il paradiso dei tombaroli alla ricerca di resti da rubare.

In paese raccontano che negli anni ’90 uno di essi, pentito, fece scattare un’indagine sul traffico di reperti archeologici nel teramano da parte dell’allora Nucleo Operativo dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale.
L’inchiesta, durata mesi, accertò che da queste parti avevano portato via una moltitudine di frammenti che narravano un passato glorioso.
La muraglia di Piano Vomano, simile a quella che si trova a Magliano di Torricella Sicura, è su di un piccolo cocuzzolo, una sorta di acropoli.

L’importante testimonianza di fortificazione per le tribù italiche era collegata a un antichissimo nucleo abitativo di un villaggio che si estendeva per oltre mille metri quadri.
Si avverte un’atmosfera magica che se a volte incute timore, allo stesso tempo accoglie e stringe come in un abbraccio.
Il muraglione ciclopico è in grado di evocare l’ingresso in un mondo di giganti e di far sentire piccoli chi lo guarda.

È lungo quasi quaranta metri, alto circa quattro, edificato con macigni enormi, quasi poligonali, sovrapposti e connessi senza cemento.
Alcune pietre sono quasi un metro e mezzo per due, conciate con arte nota agli antichi popoli trans adriatici e sovrapposte in filari regolari o quasi.
Le pietre giganti mi ricordano quasi dei dolmens o altra sorta di megaliti.
Avrebbero una datazione intorno al IV secolo prima della venuta di Cristo.

Lo avrebbe scritto un secolo dopo, anche lo storico greco Tucidide.
Chissà, poi, com’è nata la leggenda dei Paladini di Francia, uomini enormi capitanati dal gigante Orlando, preferito di Carlo Magno.
Orlando era così enorme che il suo passo, dicono, misurasse una distanza di duecento metri.
Questa sorta di titani, sarebbero riusciti ad alzare le mura trasportando gli immani blocchi sui loro superbi omeri.
 D’altronde in Abruzzo la storia fantastica si ripete.

Gli eroi del ciclo di Carlo Magno si ricordano in moltissimi luoghi, basti pensare al ponte dei Paladini, nei pressi di Montorio, dove grossi macigni poligonali, sono incastrati mirabilmente sul passaggio della via Cecilia e lo stesso paese di Paladini accanto al fosso di San Giacomo, sotto il mulino di Senarica.
Come non ricordare la grotta intitolata agli eroi dell’epopea carolingia, detta anche del Sepolcro dei Franchi in San Liberatore a Majella nel pescarese?

Tra Serramonacesca e Manoppello, i Franchi ebbero una vittoria sensazionale e Carlo Magno volle costruire la basilica nella foresta accanto al fiume.

L’antica abbazia conserva pochi pezzi originali di pietra scolpita in un ambone oggi ricostruito, un meraviglioso pavimento cosmatesco, realizzato da maestri bizantini nel 1275 e una maestosa torre campanaria a triplice elevazione.

Fra l’altro, lo stesso Carlo Magno, grande uomo ma piccolo di statura, ahimè, dal naso gigante dicono, fece erigere non lontano le mura del maniero di Castel Menardo, pochi minuti dall’eremo dell’anacoreta Sant’Onofrio incastonato su di uno strapiombo roccioso, in un posto bellissimo.

Il manufatto è definito “il castello che non c’è”, la gente non lo vede e quindi lo dimentica, i giovani ne ignorano l’esistenza. Invece è lì su di un rilievo minore del Morrone occidentale.
C’è anche la Torre Polegre che controlla ancora la valle del fiume Pescara.
Mura possenti si trovano anche sul monte Pallano, tra i comuni chietini di Bomba, Atessa e Tornareccio e nel circondario di Alba Fucens, tra le rovine più antiche di epoca romana.

Questi uomini leggendari sarebbero gli stessi che edificarono sopra le rovine di un piccolo castro romano sul confine tra le gole delle due montagne gemelle di Campli e Civitella del Tronto, le mura e le torri del castello di re Manfredi a difesa per le invasioni angioine provenienti dalle Marche ascolane.
Nella mia mente è un turbinare di mitologia.
In Irlanda e nelle isole Aran c’è l’anima celtica metamorfica, a volte spietata, nelle Orcadi scozzesi, oltre alla saggezza cosmica dei Druidi, impazza come in tutta la penisola scandinava, il mito guerriero di Odino, tra i templi indiani c’è Siva e qui abbiamo questa sorta di sansoni francesi.

Essi danno più di uno spunto a leggende abbarbicate a montagne, rocce, paesi.
In quasi tutte le fole cavalleresche, l’idea delle mura ciclopiche ingigantisce nella fantasia del volgo, la fama degli eroi che le innalzano.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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