Morbide ondulazioni gialle di grano, orlate dal verde degli alberi si rincorrono fino a morire ai piedi delle pietre consumate dal tempo dell’austera costruzione dell’abbazia di Santa Maria di Propezzano.
Il paesaggio si dispiega dolce, con docili quinte di colore sfumato.
Ma è sufficiente buttare lo sguardo in fondo alla valle Siciliana, alla grandiosa dolomia del Gran Sasso tra foreste tumultuose e girare gli occhi a 180 gradi tuffandosi nelle acque dell’Adriatico, per rendersi conto della grandiosità d’insieme.
La strada quasi isolata che attraversa le ordinate colline di campi ubertosi ricchi di vigneti, poco distante da Notaresco, in territorio di Morrodoro, porta all’ austera costruzione, oggi restaurata, della chiesa di Santa Maria di Propezzano dominata da una quadrata, e tozza torre campanaria.
Giuseppe Ceci, in un vecchio libercolo degli anni ’60 ipotizzava che, in un tempo lontano, questa fosse un torrione merlato a guisa di castello.
A fianco c’è il bellissimo convento benedettino, dalla mole così imponente da far ipotizzare una importanza abnorme nel periodo medioevale sia a livello religioso che civile.
Il mare è ad una manciata di chilometri. Non più di una ventina di tornanti.
In mezzo alle colline, quando il vento soffia, assapori il profumo aspro del verde.
Un luogo di stupore, che parla dell’invisibile con i segni dell’arte e del tempo.
Chissà se i pellegrini che si trovavano nel luogo dove oggi si erge la secolare abbazia di Santa Maria di Propezzano, usavano la zucca come borraccia o se, alla pari di quelli di Santiago de Compostela avevano con loro anche le conchiglie.
O se usassero la palma come quelli di Gerusalemme.
Di certo quei pellegrini oggi indosserebbero vestiti colorati, scarpe comode e di marca, k-way ipertecnologici, zaino e berretto e teli antipioggia.
Al posto del bastone avrebbero la racchetta da trekking, leggera e telescopica.
I pellegrini alemanni, secondo la leggenda, per alcuni tornavano da una visita alla tomba di San Pietro, per altri da un estenuante viaggio in Terra Santa.
Affaticati, vollero fermarsi per il giusto riposo.
Appesero le povere bisacce, contenenti sante reliquie, su di un corniolo e si addormentarono.
Al risveglio, con sommo stupore, i pellegrini si accorsero che l’albero era cresciuto a dismisura e che risultava impossibile prendere le borse.
Ecco che mentre, attoniti, guardavano l’albero ingigantito, una visione celeste ordinò loro di edificare una chiesa.
Era la Vergine Maria.
In verità la Madonna doveva amare fortemente la nostra terra se è vero che un'altra apparizione avvenne molti anni dopo nel contado del Perdono a Canzano e sulla collina prospiciente Giulianova Lido dove poi sorse l’attuale monastero dello Splendore.
L’antico insediamento di alto pregio artistico di questa abbazia romanica, secondo una antica scritta in carattere gotico ormai quasi scomparsa sotto il portico, risalirebbe al 715 d.C.
Esisterebbe anche una pergamena, oggi non più leggibile, logorata dal tempo, che lo storico Nicola Palma dovette copiare e decifrare quando era ancora comprensibile.
Questa specie di bolla che molti attribuiscono a Bonifacio IX, comunque scritta in latino, determinò la datazione della edificazione dell’abbazia proprio in quell’anno.
Il 10 maggio, data in cui tuttora qui si festeggia la Madonna, il Papa Gregorio II consacrò in modo solenne questo tempio a Santa Maria propizia pauperis con l’annesso monastero, che divenne subito punto di riferimento lungo il percorso adriatico verso la Terra Santa.
Questo sarebbe ciò che dice la pergamena e a nulla vale ricordare che Gregorio divenne papa dopo la data della consacrazione della chiesa e non prima.
Il corpo centrale del complesso ha un portico a tre archi sotto il quale si trova il portale e resti di affreschi del ‘400, sopra il portico una grossa finestra tonda e più in alto un sobrio rosone; la parte di destra presenta un portale detto Porta Santa che viene aperto solo il 10 maggio e il giorno dell’Ascensione.
Appena dietro troviamo la torre campanaria quadrangolare.
A proposito della grandiosa Porta Santa, l’opera proviene dalla scuola atriana del 1300.
Gli esperti la attribuiscono a Raimondo Del Poggio, superbo autore del meraviglioso portale del Duomo di Atri, vissuto alla corte degli Acquaviva, signori della città ducale.
Ne parla diffusamente il Palma nel suo libro: “Storie delle terre più a nord del Regno di Napoli”.
Il portale viene aperto durante la festa che ricorda l’apparizione della Madonna e durante l’Ascensione, per tener fede alla Bolla Indulgentiarum papale emessa dal Papa Martino V, il quale concesse indulgenze in queste due solennità per far sì che la chiesa fosse massimamente visitata in quei periodi.
L’abbazia fu completata nel 1285.
E’ una specie di enigma anche la costruzione della chiesa che, contrariamente alla successione degli stili, inspiegabilmente è stata iniziata in forme gotiche e terminata in forme romaniche.
La facciata è costituita da tre parti di diversa altezza; la parte di destra è accorpata nel convento, all’interno di questo c’è uno splendido chiostro con dipinti del seicento e al centro un pozzo artistico.
Sotto gli archetti che girano tutto intorno al chiostro si trovano delle lunette con affreschi del pittore polacco Sebastiano Majewsky sulla vita di Gesù.
Nella facciata spicca un artistico rosone formato da tetti concentrici con fregi in terracotta con sopra lo stemma dei potenti della famiglia Acquaviva.
Sotto il portico, a tre archi a sesto acuto sorretto da colonne, l’ingresso della chiesa ha una porta in legno con fregi di giglio.
Nel libro del Ceci si rimarca che le colonnine sono in stile cosmatesco, simili con le dovute differenze, a quelle dell’ insuperabile San Giovanni in Laterano a Roma.
Con la parola “cosmati”, si designano gli scultori romani artefici di una interessante fioritura artistica intorno al XIII secolo.
L’interno sobrio ed elegante della chiesa non è di quelli indimenticabili, ma le tre navate incutono rispetto e desiderio di preghiera con la poca luce, tipico delle chiese romaniche dove le finestrelle si presentano tutte minuscole.
Resterete sicuramente ammirati da una pittura raffigurante l’Annunciazione dell’Angelo alla Vergine.
A dir poco stupendo l’antico refettorio dei frati con i suoi pregevoli affreschi.
L’ultimo sguardo è per la torre campanaria che, in maniera inusuale risulta non incorporata alla facciata, ma distante circa due metri da essa.
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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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