“Se vuoi arrivare primo, cammina da solo. Se vuoi camminare lontano, cammina insieme.” (Adagio popolare)
Prima di partire stamane ho meditato il libro più piccolo della Bibbia.
Chi legge il “Cantico dei Cantici” attraversa l’amore a tutti i livelli, in tutte le sue molteplici sfumature, di qualunque sentimento profondo si parli: tra uomo e donna, tra Dio e il suo popolo, tra i fratelli in carne, tra gli esseri viventi e la natura.
Colpisce la dimensione della continua ricerca tra due esseri in un amore inteso di complicità, di ricerca l’uno dell’altro, in un legame desiderato, sognato.
Ho un po’ di nostalgia di mia moglie, tanta di mia figlia.
Forse era più indicato leggere Giobbe, avrei attraversato il dolore in tutte le sue sfumature, ma ascoltato inequivocabilmente la Parola di un Dio misericordioso, pronto a dare l’ultima parola di conforto.
Sto pensando che sono belle le figure femminili della Bibbia. Rut, ad esempio, è la straordinaria donna di un popolo odiato da Israele ma che entra in quello ebraico, per diventare nonna di David e ristabilire pace fra i due popoli.
Gli Ebrei leggono questo libro a Pentecoste, il tempo della mietitura.
Quando Dio si rivolge a una donna nell’Antico Testamento, accadono sconvolgimenti.
Anche il Signore soffre a causa loro.
Un tempo la montagna ha avuto una forza di attrazione malefica, un po’ come quella del deserto, landa di desolazione, la stessa attribuita oggi ai buchi neri dello spazio siderale.
La morte arrivava di sorpresa sotto forma di un morso di vipera, di una slavina improvvisa, di un piede messo disgraziatamente dove non si doveva.
E poi, la montagna era il regno dei briganti.
Pian piano, tutto è mutato.
Le cime sono diventate pilastri, colonne del mondo, merletti di vita sotto un cielo scintillante di luci.
Sagome di aguzze piramidi, guglie di pietra dal profondo romanticismo rosa, pinnacoli di roccia fra altopiani, strapiombi, gole, foreste.
E così il “modus deambulandi” è tornato quello di un tempo.
Questa mattina è caratterizzata dal passaggio continuo di gruppi di volatili.
Sul finire dell’estate c’è una strana agitazione, una frenesia inconsulta da parte degli uccelli che iniziano a migrare, sulla rotta che dal lago di Campotosto li conduce ai paesi caldi dove svernare.
Passano sulle nostre teste come minuscoli aeroplani.
Crediamo, tra gli altri, di aver scoperto dei bianconi, piccoli aquilotti specializzati nel predare bisce e lombrichi, planando inaspettatamente.
Molti di essi sembrano essere però dei semplici colombacci.
Oggi ci aspetta una polenta a Campo Imperatore se tutto andrà per il verso giusto.
È quello che ci vuole per riscaldarsi perché sta tirando aria gelida.
Stiamo attraversando la valle più spettacolare del versante teramano del Gran Sasso.
Questo cuneo di terra separa il Corno Grande e il Corno Piccolo dai pilastri verticali del Pizzo d’Intermesoli.
Un paesaggio incredibile, uno straordinario succedersi di habitat diversi: boschi, torrenti, pascoli, ghiaioni.
Ma qui c’è anche una grande storia scritta dall’uomo in lotta con balze, nevi e pareti ripide.
Non parlo solo dei grandi scalatori come il capitano De Marchi, che nel 1574 salì con la guida alpina Di Domenico di Assergi, sul Corno Grande.
Chissà quanti uomini l’hanno attraversata sin dai primi anni del cinquecento quando veniva utilizzata come mulattiera, dai mercanti di “carfagni”, i panni grezzi di lana che insieme ai “cotorni”, spessi calzini da uomo, venivano trasportati attraverso il Passo della Portella per essere venduti nella città di Aquila.
Nel teramano c’erano diverse fabbriche laniere che producevano roba egregia.
La Val Maone era anche attraversata dai pastori che, per il Rio Arno da Pietracamela, portavano le greggi nella conca di Campo Pericoli.
I transumanti raggiungevano la parte superiore della valle, lì dove c’erano le famose “capanne” e le grotte che offrivano ricoveri in caso di tempeste di neve assai frequenti. Massimo mi ricorda che qui a Campo Pericoli, il più grande “pericolo”, l’ha corso proprio l’ambiente.
Anni fa fu proposto un mega insediamento di impianti
sciistici di alta quota.
Il progetto prevedeva un collegamento con la valle del Venacquaro, in una sorta di delirio di cemento che avrebbe trovato una successiva colata nella valle del Chiarino.
colpo mortale per il Gran Sasso che, per fortuna non c’è stato.
Una follia che stava per essere realizzata se non fossero intervenuti, provvidenziali, gli ambientalisti a scongiurare un simile scempio.
Al posto di strade, funivie, skilift, oggi qui pascolano beati, grazie a Dio, i camosci e volteggiano, felici, le aquile.
Che meraviglia, ragazzi!
Montagna severa questo Gran Sasso, ancora più affascinante per chi sa coglierne gli aspetti più integri.
Uno spaccato dolomitico con rocce che appaiono come plastici ed eleganti ammassi creati dalla mano di un gigante, fino a giungere alla stupenda parete nord e alle Spalle del Corno Piccolo.
All’opposto, troviamo i più selvaggi versanti meridionale e orientale del Corno Grande, lavorati in maniera ossessiva, tra profonde incisioni, slanciate guglie, tortuosi canali e sinuose creste.
Stiamo per vivere intensamente la diversità dei due versanti: quello teramano tutto antropizzato con la presenza massiccia dell’uomo, quello aquilano con la brulla piana di Campo Imperatore e i deserti crinali che scendono verso i deliziosi paesi come Santo Stefano di Sessanio, Castel del Monte, Calascio.
Il Passo della Portella è a 2260 metri di altezza.
C'arriviamo abbastanza provati.
La fatica si sta accumulando anche se l’entusiasmo non è scemato nemmeno di un tocco.
Sulla nostra destra svetta il Pizzo Cefalone.
Un passo dietro l’altro.
Dieci, cento, mille orme, il dislivello di poco più di cento metri per raggiungere la sommità sulla quale insiste il Duca degli Abruzzi a 2388 metri d’altezza, è colmato tra vari ondeggiamenti.
Il rifugio è dedicato a un grande
esploratore italiano, Luigi Amedeo di Savoia, duca, per l’appunto, quasi sicuramente uno degli esponenti più amati della Casa Reale.
È una storia di vita complicata, avventurosa, quella del cugino “povero” del più famoso Vittorio Emanuele II re d’Italia.
Tra una spedizione e l’altra in cui si portava con sé un uomo mito della storia dell’alpinismo italiano, Vittorio Sella, finissimo fotografo, il nobile uomo ebbe varie avventure.
Anche galanti, vi assicuro, con donne di alto lignaggio fra cui l’americana Catherine Elkins, desiderata da mezzo mondo.
Luigi Amedeo viaggiò in Alaska, arrivò nel Polo-Nord, in Karakorum, salì il K2 e non disdegnò paesi con mille problemi, come ad esempio la Somalia.
Ma lo sapete? Fa anche freddo. Un freddo boia!
Occorrerebbero i guanti, un giaccone più pesante.
Il sole sta calando e i suoi raggi s’infilano nella vallata sottostante.
Quando arriviamo alla stazione alta della funivia del Gran Sasso, al rifugio Campo Imperatore stanno scendendo le ombre di un raffinato ma gelido tramonto.
L’ostello è stato ricavato dagli antichi locali che ospitavano la struttura di servizio della stazione di arrivo della funivia che, ancora oggi, parte dalla sottostante Fonte Cerreto.
Naturalmente all’interno il riscaldamento non funziona!
Rimediamo un’anonima stufa elettrica.
Meglio di niente.
Riequilibrato il sistema termico dei nostri corpi, mentre Massimo chiude gli occhi, decido di dare un occhiata.
Attraversato il piazzale, mi affaccio verso la piana.
Che meraviglia!
In fondo si nota una moto di grossa cilindrata.
È simile a un proiettile colorato, sparato da una parte all’altra del paesaggio.
Deve, certamente, essere una sensazione incredibile.
fruscio dell’aria sulla carenatura, la lingua di strada bianca che corre davanti la ruota anteriore, la linea di mezzo riflessa sulla visiera del casco integrale.
L’albergo è un cimelio storico e lo si capisce anche dalla struttura decisamente sfruttata.
Ospitò Mussolini durante la sua prigionia sulle vette del Gran Sasso.
Da qui il Duce mise un nuovo tassello alla sua vita avventurosa, con una liberazione che la storia ricorda quanto meno rocambolesca.
Sembra quasi di vederli ancora gli alianti dell’aviazione tedesca, il 12 settembre del 1943 alle ore 15,00 circa con gli incursori paracadutisti che circondano l’albergo per liberare il prigioniero eccellente.
Foto e cortometraggio dell’evento hanno fatto più volte il giro del mondo.
Sono parte della storia del nostro paese.
Tratto dalle pagine del libro di Sergio Scacchia "Il mio Ararat"(La Cassandra edizioni).
Un grazie di cuore all'amico Daniele Machetti per le splendide foto della fioritura di maggio a Campo Imperatore!
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
Prima di partire stamane ho meditato il libro più piccolo della Bibbia.
Chi legge il “Cantico dei Cantici” attraversa l’amore a tutti i livelli, in tutte le sue molteplici sfumature, di qualunque sentimento profondo si parli: tra uomo e donna, tra Dio e il suo popolo, tra i fratelli in carne, tra gli esseri viventi e la natura.
Colpisce la dimensione della continua ricerca tra due esseri in un amore inteso di complicità, di ricerca l’uno dell’altro, in un legame desiderato, sognato.
Ho un po’ di nostalgia di mia moglie, tanta di mia figlia.
Forse era più indicato leggere Giobbe, avrei attraversato il dolore in tutte le sue sfumature, ma ascoltato inequivocabilmente la Parola di un Dio misericordioso, pronto a dare l’ultima parola di conforto.
Sto pensando che sono belle le figure femminili della Bibbia. Rut, ad esempio, è la straordinaria donna di un popolo odiato da Israele ma che entra in quello ebraico, per diventare nonna di David e ristabilire pace fra i due popoli.
Gli Ebrei leggono questo libro a Pentecoste, il tempo della mietitura.
Quando Dio si rivolge a una donna nell’Antico Testamento, accadono sconvolgimenti.
Anche il Signore soffre a causa loro.
Un tempo la montagna ha avuto una forza di attrazione malefica, un po’ come quella del deserto, landa di desolazione, la stessa attribuita oggi ai buchi neri dello spazio siderale.
La morte arrivava di sorpresa sotto forma di un morso di vipera, di una slavina improvvisa, di un piede messo disgraziatamente dove non si doveva.
E poi, la montagna era il regno dei briganti.
Pian piano, tutto è mutato.
Le cime sono diventate pilastri, colonne del mondo, merletti di vita sotto un cielo scintillante di luci.
Sagome di aguzze piramidi, guglie di pietra dal profondo romanticismo rosa, pinnacoli di roccia fra altopiani, strapiombi, gole, foreste.
E così il “modus deambulandi” è tornato quello di un tempo.
Questa mattina è caratterizzata dal passaggio continuo di gruppi di volatili.
Sul finire dell’estate c’è una strana agitazione, una frenesia inconsulta da parte degli uccelli che iniziano a migrare, sulla rotta che dal lago di Campotosto li conduce ai paesi caldi dove svernare.
Passano sulle nostre teste come minuscoli aeroplani.
Crediamo, tra gli altri, di aver scoperto dei bianconi, piccoli aquilotti specializzati nel predare bisce e lombrichi, planando inaspettatamente.
Molti di essi sembrano essere però dei semplici colombacci.
Oggi ci aspetta una polenta a Campo Imperatore se tutto andrà per il verso giusto.
È quello che ci vuole per riscaldarsi perché sta tirando aria gelida.
Stiamo attraversando la valle più spettacolare del versante teramano del Gran Sasso.
Questo cuneo di terra separa il Corno Grande e il Corno Piccolo dai pilastri verticali del Pizzo d’Intermesoli.
Un paesaggio incredibile, uno straordinario succedersi di habitat diversi: boschi, torrenti, pascoli, ghiaioni.
Ma qui c’è anche una grande storia scritta dall’uomo in lotta con balze, nevi e pareti ripide.
Non parlo solo dei grandi scalatori come il capitano De Marchi, che nel 1574 salì con la guida alpina Di Domenico di Assergi, sul Corno Grande.
Chissà quanti uomini l’hanno attraversata sin dai primi anni del cinquecento quando veniva utilizzata come mulattiera, dai mercanti di “carfagni”, i panni grezzi di lana che insieme ai “cotorni”, spessi calzini da uomo, venivano trasportati attraverso il Passo della Portella per essere venduti nella città di Aquila.
Nel teramano c’erano diverse fabbriche laniere che producevano roba egregia.
La Val Maone era anche attraversata dai pastori che, per il Rio Arno da Pietracamela, portavano le greggi nella conca di Campo Pericoli.
I transumanti raggiungevano la parte superiore della valle, lì dove c’erano le famose “capanne” e le grotte che offrivano ricoveri in caso di tempeste di neve assai frequenti. Massimo mi ricorda che qui a Campo Pericoli, il più grande “pericolo”, l’ha corso proprio l’ambiente.
Anni fa fu proposto un mega insediamento di impianti
sciistici di alta quota.
Il progetto prevedeva un collegamento con la valle del Venacquaro, in una sorta di delirio di cemento che avrebbe trovato una successiva colata nella valle del Chiarino.
colpo mortale per il Gran Sasso che, per fortuna non c’è stato.
Una follia che stava per essere realizzata se non fossero intervenuti, provvidenziali, gli ambientalisti a scongiurare un simile scempio.
Al posto di strade, funivie, skilift, oggi qui pascolano beati, grazie a Dio, i camosci e volteggiano, felici, le aquile.
Che meraviglia, ragazzi!
Montagna severa questo Gran Sasso, ancora più affascinante per chi sa coglierne gli aspetti più integri.
Uno spaccato dolomitico con rocce che appaiono come plastici ed eleganti ammassi creati dalla mano di un gigante, fino a giungere alla stupenda parete nord e alle Spalle del Corno Piccolo.
All’opposto, troviamo i più selvaggi versanti meridionale e orientale del Corno Grande, lavorati in maniera ossessiva, tra profonde incisioni, slanciate guglie, tortuosi canali e sinuose creste.
Stiamo per vivere intensamente la diversità dei due versanti: quello teramano tutto antropizzato con la presenza massiccia dell’uomo, quello aquilano con la brulla piana di Campo Imperatore e i deserti crinali che scendono verso i deliziosi paesi come Santo Stefano di Sessanio, Castel del Monte, Calascio.
Il Passo della Portella è a 2260 metri di altezza.
C'arriviamo abbastanza provati.
La fatica si sta accumulando anche se l’entusiasmo non è scemato nemmeno di un tocco.
Sulla nostra destra svetta il Pizzo Cefalone.
Un passo dietro l’altro.
Dieci, cento, mille orme, il dislivello di poco più di cento metri per raggiungere la sommità sulla quale insiste il Duca degli Abruzzi a 2388 metri d’altezza, è colmato tra vari ondeggiamenti.
Il rifugio è dedicato a un grande
esploratore italiano, Luigi Amedeo di Savoia, duca, per l’appunto, quasi sicuramente uno degli esponenti più amati della Casa Reale.
È una storia di vita complicata, avventurosa, quella del cugino “povero” del più famoso Vittorio Emanuele II re d’Italia.
Tra una spedizione e l’altra in cui si portava con sé un uomo mito della storia dell’alpinismo italiano, Vittorio Sella, finissimo fotografo, il nobile uomo ebbe varie avventure.
Anche galanti, vi assicuro, con donne di alto lignaggio fra cui l’americana Catherine Elkins, desiderata da mezzo mondo.
Luigi Amedeo viaggiò in Alaska, arrivò nel Polo-Nord, in Karakorum, salì il K2 e non disdegnò paesi con mille problemi, come ad esempio la Somalia.
Ma lo sapete? Fa anche freddo. Un freddo boia!
Occorrerebbero i guanti, un giaccone più pesante.
Il sole sta calando e i suoi raggi s’infilano nella vallata sottostante.
Quando arriviamo alla stazione alta della funivia del Gran Sasso, al rifugio Campo Imperatore stanno scendendo le ombre di un raffinato ma gelido tramonto.
L’ostello è stato ricavato dagli antichi locali che ospitavano la struttura di servizio della stazione di arrivo della funivia che, ancora oggi, parte dalla sottostante Fonte Cerreto.
Naturalmente all’interno il riscaldamento non funziona!
Rimediamo un’anonima stufa elettrica.
Meglio di niente.
Riequilibrato il sistema termico dei nostri corpi, mentre Massimo chiude gli occhi, decido di dare un occhiata.
Attraversato il piazzale, mi affaccio verso la piana.
Che meraviglia!
In fondo si nota una moto di grossa cilindrata.
È simile a un proiettile colorato, sparato da una parte all’altra del paesaggio.
Deve, certamente, essere una sensazione incredibile.
fruscio dell’aria sulla carenatura, la lingua di strada bianca che corre davanti la ruota anteriore, la linea di mezzo riflessa sulla visiera del casco integrale.
L’albergo è un cimelio storico e lo si capisce anche dalla struttura decisamente sfruttata.
Ospitò Mussolini durante la sua prigionia sulle vette del Gran Sasso.
Da qui il Duce mise un nuovo tassello alla sua vita avventurosa, con una liberazione che la storia ricorda quanto meno rocambolesca.
Sembra quasi di vederli ancora gli alianti dell’aviazione tedesca, il 12 settembre del 1943 alle ore 15,00 circa con gli incursori paracadutisti che circondano l’albergo per liberare il prigioniero eccellente.
Foto e cortometraggio dell’evento hanno fatto più volte il giro del mondo.
Sono parte della storia del nostro paese.
=========================
Tratto dalle pagine del libro di Sergio Scacchia "Il mio Ararat"(La Cassandra edizioni).
Un grazie di cuore all'amico Daniele Machetti per le splendide foto della fioritura di maggio a Campo Imperatore!
=========================
Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
=========================
Nessun commento:
Posta un commento