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mercoledì 3 aprile 2013

La chiesa di San Clemente a Vomano e il tesoro di Ermengarda a Guardia Vomano

Un viaggio senza tempo nella preziosa eleganza benedettina di San Clemente, perla del romanico abruzzese e capolavoro dell’architettura medievale.


Il mostro, istoriato nella pietra bianca del capitello, ha il viso beffardo e la lunga barba.
Intorno si annidano demoni, uccelli, serpenti e fiori d’ibisco.
S’intrecciano voluttuosamente, creando un immaginario fantastico che risalta ancor più nella preziosa eleganza dell’interno e nel rigore della semplicità benedettina dell’esterno.

L’antico cenobio di San Clemente sovrasta il piccolo abitato di Guardia Vomano che custodisce nel suo toponimo il ricordo di una sofferta dominazione longobarda.
L’austera facciata in pietra si raggiunge lasciando la costa adriatica di Roseto degli Abruzzi, inoltrandosi lungo la statale 150, superando il casello dell’autostrada A14.

La chiesa è una splendida derivazione della più famosa abbazia casauriense, dalla quale ha ereditato, oltre al nome del santo, anche un meditato confronto con l’arte classica dei suoi capolavori.
Il tempio non ha guglie prominenti, né rosoni fantastici, non mostra immense finestre dai vetri istoriati, ma l’intrigante gradinata in ciottoli di fiume è l’anticamera di un vero scrigno d’arte.

Adagiato a fianco di un antico cimitero, tra il verde dei campi di una collina che permette di raggiungere con lo sguardo sia il mare sia la montagna, il minuscolo gioiello dell’arte romanica abruzzese domina la vallata.


Le origini di questo monumento sono avvolte nel mistero.
La tradizione vuole che la famiglia reale di Ludovico II re d’Italia dall’844, associato all’Impero con il fratello Lotario e in guerra perenne con i Saraceni, fosse uscita miracolosamente illesa da una congiura ordita dal duca di Benevento, Adelchi.

L’imperatore, dopo lo scampato pericolo, era impegnato nella costruzione dell’abbazia di Casauria e la famiglia imperiale proseguì il suo viaggio verso Nord.

L’imperatrice con il suo seguito si fermò presso il Castrum Wardae, (Castello di Guardia) e fu qui che la madre dell’imperatore, donna Ermengarda, decise di fondare sull’esempio del figlio, un secondo monastero intitolato a San Clemente.

Il complesso divenne la più importante dipendenza casauriense.

L’abbazia nasceva proprio quando il monachesimo benedettino si avviava al suo massimo splendore configurandosi lungo le direttrici delle antiche strade romane, come importante propaggine dei grandi monasteri quali Montecassino, Santa Maria di Farfa, San Vincenzo al Volturno.

Il portale all’esterno si presenta con una pietra scolpita con lussuosi tralci vegetali.

All’interno, in tre navate e con il presbiterio rialzato, l’immagine che ci si aspetta cupa, sepolcrale, in penombra è, al contrario, festa d’immagini.

Dai capitelli che rimandano alle importanti testimonianze di San Liberatore a Majella e Santa Maria di Bominaco dell’Aquila, spuntano volti demoniaci tra grovigli inestricabili dai quali s’intuiscono teste di arieti e capri, oltre a un uomo che curiosamente si morde il piede.

Sul presbiterio sopraelevato, spicca il ciborio a base quadrata con una copertura sostenuta da quattro colonnine.

È un vero capolavoro attribuito alla bottega artistica di Ruggero e dei figli Roberto e Nicodemo, un’opera notevole caratterizzata da un’estrosa decorazione con intrecci di nastri, figure antropomorfe, forme vegetali e grifoni alati.

Da alcuni anni sono tornati alla luce, pietre della prima fondazione e una serie di ambienti utilizzati come sepolture.

I ritrovamenti sono visibili con un piano calpestabile in vetro.

San Clemente al Vomano merita una visita.
È un presidio di fede, testimonianza del primato di Dio.



Gli articoli inseriti nella rivista sono redatti da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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