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giovedì 18 aprile 2013

L’antica capitale della Valle Siciliana

Lascio a Montorio al Vomano la vecchia statale 150 e proseguo sulla 491, risalendo lo sperone roccioso ricoperto di rigogliosi querceti.
La policromia dei boschi dà effetti scenografici al paesaggio.

In pochi chilometri sono davanti all’altura, dove si allunga Tossicia, con le sue mura, le chiese, i palazzotti gentilizi.
Sotto, la valle dell’irrequieto Mavone quasi sprofonda, tra casali, vigneti e monasteri.

In alto, le selvagge quinte montuose delle pietre silice dell’immane Corno Grande, accompagnano lo scorrere dei corsi d’acqua e il paesaggio acquista un carattere arcigno, meno leggiadro, con una campagna che diventa mossa e nervosa.

Tossicia merita l’appellativo di capitale della Valle siciliana dove, al tempo dei miti, i siculi tracciarono quella che sarebbe divenuta, per i Romani, l’antica via Caecilia.

E’ una chiocciola di pietra in mezzo a colli e poggi da dipinto raffaellesco.
Il filare alberato che introduce al borgo sembra raccontare le grandi stagioni medioevali e rinascimentali che le pur profonde innovazioni moderne non hanno potuto cancellare.

All’interno del paese, lo scorrere sereno e contemplativo del tempo che qui ha senso solo come condizione meteorologica, mentre storia e leggenda s’intrecciano, raccontando ognuna la propria verità.

Accanto al rinascimentale Palazzo Marchesale all’ingresso del borgo vecchio, prima del corso che porta alla parrocchiale, dove oggi si trovano gli uffici del Comune, si narra esistesse nella notte dei tempi, un’antica fonte dedicata a un nume benigno che soprassedeva all’incolumità della gente del luogo.

Il fitto bosco oggi preda dell’antropizzazione, nella notte dei tempi, era selva sacra a Giove e le grotte, il rifugio di eremiti nei primi secoli dell’era cristiana.

“Ma non tutto è leggenda- mi dice il cortese benzinaio della piazza, mentre riempie il serbatoio della mia auto- questa storia per chi è credente, è vera!”

E giù a raccontare di quando la statua della Madonna delle Nevi fu trasferita dal suo piccolo tempio nei boschi vicini, fin nel cuore del paese, nella chiesa Madre.
Una storia incredibile!

La Vergine, nottetempo, decise di tornarsene nella quiete della sua bella cappella, lasciando privo di erba il sentiero percorso.
Pura poesia!

Una piccola e umile Madonna di terracotta che è portata via quasi violentata, dal suo bel crocicchio di campagna al cospetto del gigante Gran Sasso che decide di tornarsene, col favore delle tenebre, alla sua cappella nel verde, non una ma più volte.

Uno squarcio di poesia che fa passare in sordina la verità su chi abbia potuto fare quest’azione che non è goliardica, ma ha una sua devozione.

Con cortesia la signora Anna mi apre la porta della vetusta chiesina di Sant’Antonio Abate, tutta in pietra, col suo bel portale del grande Andrea Lombardi.

Racconta, orgogliosa, di quando il paese era in lutto perché privata, da ignoti malviventi, della statua della Madonna della Provvidenza.

Dopo alcuni anni dalla scomparsa, mentre Anna era intenta a godersi “Uno mattina” in Rai ecco che, in un servizio realizzato a Londra, riconosce la bella signora in pietra, sdraiata a riposo.

Partono le denuncie ai carabinieri e anche cinquanta milioni del vecchio conio, messi a disposizione della Tercas per riottenere la statua poiché in Inghilterra detenere opere d’arte altrui non è illecito.

“Pensare- mi dice un'altra anziana donna, Linda - che la nostra Madonna sdraiata è una delle poche opere simili presenti al mondo”.
Che grande festa in paese per il ritorno dell’amata signora!

Terra di conquista, Tossicia, da quando, nell’XI secolo, il paese fu fondato per volontà di una potente famiglia che spadroneggiava nella capitale di allora, l’odierna Ornano Grande.

Gli edifici antichi con i loro stemmi, le bifore gentilizie, gli antichi gafii ormai in disuso, stanno lì a testimoniarlo.

Dapprima castrum della potente famiglia dei Pagliara, stirpe dei Conti dei Marsi, il cui castello, che dominava la valle, è presente in pochi ruderi avvolti da misteriose leggende, poi baronia degli Orsini, con il primogenito Napoleone sposo di Maria Pagliara nel 1340, il cui turbolento dominio durò oltre due secoli, fino a Camillo Pardo che dovette abdicare a favore degli Alarcon Mendoza, per volontà dell’imperatore Carlo V.

Il duca Gonzales Hurtado De Mendoza sposò Isabella Ruiz De Alarcon, altera nella sua bellezza, sprezzante nella ricchezza ostentata e anche traditrice, vista la storia d’amore con l’affascinante stalliere che per questo ci rimise la testa.

Un borgo dal cuore antico e silenzioso, Tossicia.
I suoi abitanti, molti di loro anziani, non amano il caos, difendono strenuamente il loro isolamento dorato.

Risalgo la stradina lastricata di pietre scure segnate dal tempo, alla ricerca dell’antica chiesa madre dedicata alla patrona Santa Sinforosa.
Osservo l’armoniosa porta in stile romanico dedicata all’Annunciazione dell’Angelo alla Vergine.

Ambedue i personaggi biblici sembrano intenti a un mistico colloquio.
L’interno colpisce nelle opere attribuite a Silvestro dell’Aquila, intersecate in un tragico rondò che passa dalla serena maternità all’angosciosa crocifissione sul Golgota, estrema sintesi del passaggio terreno del Cristo.

Prima di lasciare Tossicia entro nell’imperdibile museo delle tradizioni popolari.
Qui, una poderosa macchina del tempo coinvolge il visitatore in quella che era la vita rurale e il vissuto quotidiano delle genti della Laga.

Il legno, la pietra, il rame e tutti gli utensili della civiltà agro pastorale sembrano voler prender vita per raccontare, da reperti archeologici, un passato recente.

Ancora oggi nelle frazioni di Chiareto e Aquilano si conserva la custodia di un saggio pensiero:
“Quando l’uomo smetterà di lavorare la terra, sarà la fine di tutte le cose”.

Ecco perché resistono, anche se a fatica, le botteghe dei ramai e quelle dei lavoranti di vimini, i rami di salice con i quali si realizzano cestoni e canestri.

Un tempo non esistevano le buste di plastica e il mondo era un po’ più pulito.
I fuscelli tagliati in primavera rivestivano anche damigiane e fiaschi, i cestini servivano per portare vivande agli uomini nei campi o per andare a vendere al mercato uova o pizzelle di formaggio.

Nel museo ammiro le stupende opere della pittrice Annunziata Scipione, affreschi significativi della Valle Siciliana e già decido di fermarmi nella vicina Azzinano, il borgo dei murales naif.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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