Basta raggiungerlo da Castelli – Rigopiano nel teramano o da Campo Imperatore, il piccolo Tibet aquilano, attraversare incredibili prati ampi e poi l’ambiente straordinario e misterioso della piana sovrastata dalle creste dei monti Licciardi e Bolza.
Infine c’è da tuffarsi in un teatro lunare, a volte anche un po’ angosciante, tra colli e vallette pietrose, tra mulattiere e immensità erbose, fin quando non scorgi la sagoma rassicurante del paese del pastore poeta Francesco Giuliani.
Questo incredibile personaggio ha lasciato a tutti noi dei poemetti in rima, memorie scritte di storie di streghe e vita pastorale, in cui è possibile decifrare accadimenti di un’intera epoca che di certo non ha fatto mancare precaria sopravvivenza e analfabetismo diffuso.
L’”Ariosto” dei poveri, dei transumanti questa figura pastorale scriveva: “d’antichi cavalieri, d’armi e d’amori, voglio avvertir, non è il mio canto, ma sol di greggi amate e di pastori, di cantar mi vanto”.
Il borgo è fantastico, pare essersi fermato al medioevo.
Un pugno di abitazioni tutte addossate e unite le une alle altre, da volte, archi e muri condivisi, come per abbracciarsi, reciprocamente e tenere lontani i pericoli.
Lungo dedali di viuzze e fazzoletti di piazze silenziose, si affacciano caratteristici sporti o ballatoi.
La storia millenaria è raccontata da ruderi, antiche iscrizioni, monete, cippi funerari, ritrovamenti che parlano d’insediamenti dell’anno 1000, quando nella piana di San Marco a mezzogiorno del paese, un villaggio di genti italiche e vestine, nel quarto secolo a.C. fu colonizzato dai terribili Romani a suon di daghe e lance.
Nacque così, tra sangue e orrori la “Civitas Tre Corone”, avamposto d’alta montagna che doveva essere tra i primi baluardi difensivi dalle incursioni di barbari invasori.
Immaginate che vita dovettero sopportare questi uomini, bersagliati dall’asprezza dei lunghi inverni battuti dall’inclemenza del tempo, soggiogati dalle continue razzie di banditi senza scrupoli.
Molti di loro caddero rovinosamente insieme all’invincibile, che poi si rivelò non tale, Impero Romano.
Altri fuggirono sulle sommità dei monti, dove ancora oggi sono visibili i resti di rocche antiche, altri sopravvissero dedicandosi alla pastorizia e fondando il primo grande insediamento del “Castellum De Monte”con una fortificazione degna di tale nome che, nel corso degli anni, divenne inviolabile con tanto di torri, ampio borgo custodito da alte mura turrite, fatto di case nate da solida roccia e fornite di finestrelle adibite a ulteriore baluardo difensivo.
Dietro le piccole porte delle case e i cigolanti battenti delle finestre, si celano oggetti antichi che raccontano tempi di legno, lana, rame, ferro.
In ognuno dei fondaci del paese, alcuni delle autentiche spelonche sopravvissute al tempo, si trovano resti di transumanza e civiltà contadina: bastoni per rompere il caglio, pentoloni per creare formaggi, telai per la lavorazione della lana, piccoli aratri.
Colpiscono le porte d’ingresso, le robuste mura di cinta dell’incastellamento, il tessuto urbano che sembra nato dalla roccia viva.
Gli abitanti di Castel Del Monte hanno creato un “itinerario culturale” attraverso le porte di entrata al borgo, le piazzette di ritrovo e le case ammucchiate una sull’altra.
E’ un viaggio a ritroso nel cuore di una storia millenaria che ancora vive, pulsa e chiede attenzione.
E’ un “Museo delle Genti” all’aperto, che si aggiunge a quello che c’è sulla pastorizia e la transumanza.
Da non perdere la piccola chiesa di Santa Caterina che offre un alone mistico non comune.
Non è certo una chiesa grande, non ha la magnificenza che appartiene di diritto ai luoghi sacri, ma vive di un fascino tutto suo.
All’interno un foglietto ricorda che, a dispetto di quanto sopra, una bolla papale del 1795 del pontefice Pio VIII, le donava il privilegio di “Basilica”, con tanto di indulgenza plenaria.
Merita attenzione anche la chiesa di San Rocco, ricavata da un imponente torrione quadrato, integrato con la poderosa cinta muraria delimitata dai portoni d’ingresso e la Madonna del Suffragio dove si trova l’altare più bello del paese e un raro organo del 500 che riempie gli occhi.
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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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