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giovedì 2 maggio 2013

“Non rattristiamoci per averlo perso, ringraziamo per averlo avuto”

In genere, gli uomini adorano i conformisti vivi e ammirano i rompiscatole morti.
In genere, ma non sempre.

Era l’agosto 2007 quando scomparve all'ospedale civile di Teramo, Giammario Sgattoni, notissimo uomo di cultura e autentico motore della vita intellettuale della città dal dopoguerra a oggi.

Eppure non è trascorso neanche un attimo se è vero che la gente a Teramo fa ancora memoria di lui come di uno che non se ne andrà mai, la quintessenza dell’educazione, della cultura, della sensibilità poetica, della voglia di vivere.

In una parola, il contrario del rompiscatole.
Sembra ancora di sentirla quella sua voce piena, di vederlo col suo sorriso solare, gli occhi illuminati dietro le lenti, parlare veloce perché “lo so che vado a tremila” come mi disse ridendo un giorno, mentre mi stendeva una raccolta dei suoi scritti, regalo più che mai gradito da chi, come me, pendeva dalle sue labbra.

La cosa che mi colpiva di Giammario era che riusciva a vedere solo i lati belli della vita.

Come se vivesse all’interno di una fiaba dove albergavano la poesia, l’arte, la natura e la sua amata famiglia, presente in quasi tutti i suoi discorsi.

Dimenticava volutamente che una vita dedicata alla cultura, alla passione per il territorio non gli avevano garantito somme tali da farlo vivere ricco e agiato.

Per lui tutto questo non era importante.
Per lui era vitale l’essere amato come uomo prima che come letterato.
Era orgoglioso di tutte le sue innumerevoli amicizie da quelle importanti come Giuseppe Ungaretti, suo Presidente del sindacato nazionale degli scrittori, Dacia Maraini, Carino Gambacorta, fino alla gente comune come me.

Credo che, nel panorama degli autentici maestri spirituali del nostro tempo, non sia un azzardo annoverare la figura di Giammario e le sue opere.

Sgattoni è stato poeta, scrittore, critico e la sua voce è stata sicuramente tra le più autorevoli e influenti del panorama culturale.

Noto in tutta l'Abruzzo ma anche al di fuori della Regione, ha tessuto una fitta trama di relazioni con intellettuali e letterati di tutta Italia ed è stato uno dei protagonisti della vita cittadina degli ultimi decenni.

Tra gli ideatori del Premio Teramo,
meriterebbe l’intitolazione di una via cittadina, così come accaduto per grandi maestri quali Luigi Brigiotti e Guglielmo Cameli.
Giammario è stato, di là della sua immensa cultura, uno di quei pochi individui da cui tutti fanno nascere la propria identità.

Un fratello, un amico, uno del quale non sentirai mai una chiacchiera, un fatto negativo.

Incontrai per la prima volta il dottor Sgattoni (lui storceva il naso a sentirsi apostrofare così) nei locali dell’Ente Provinciale del Turismo dove ricopriva dal 1958 la carica di responsabile dell’ufficio stampa e poi di vice Direttore.

Mi vide riempire una borsa di tanti depliant e opuscoli promozionali della nostra provincia e mi chiese cosa volessi farne di tutto quel materiale che bastava per aprire un’intera agenzia di viaggi.
Gli dissi che volevo studiare approfonditamente la terra dove ero nato e vissuto fino a quel momento.

Allora Giammario sorrise e mi disse: “Inizia a conoscere Teramo”.

E per un’ora circa mi raccontò di siti archeologici sconosciuti, di un mondo sotterraneo sul quale camminavo da anni senza mai immaginarlo.

Ultimamente, quando si accorse che la malattia lo stava ghermendo, candidamente mi confidò, mentre in ufficio gli compilavo il suo 730:
caro Sergio, tu sei un funzionario tributario, ma sei soprattutto uno che scrive. Allora capirai che la mia paura è di non potere, un giorno, prendere più in mano una penna e raccontare i miei sentimenti …”
Credo che la sua anima e il suo corpo fossero, in quel preciso istante, un arco teso verso l’infinito che li avvolgeva con struggente tenerezza.
E nell’infinito ero entrato anch’io grazie alla sua amicizia.

Capii poi, durante un incontro nel quale parlavamo di alcuni articoli da preparare a quattro mani per l’amata rivista “Teramani”, che, anche quando ci avrebbe lasciati, la sua poesia, la sua prosa, in una parola, il suo mondo interiore avrebbe dimorato nel territorio accidentato e affascinante di una scrittura che prende in carico, in tutte le sue nobili implicazioni, l’oralità della parola come inconfondibile tonalità recitativa.

Anche allora il male dentro di lui non era riuscito a minare la gestualità, la forte personalità, il forbito incedere delle sue parole, le cadenze voluttuose del suo discorrere amabilmente.

Il testamento di Giammario ci viene dall’esempio, dalla sua penna, una sua certa visione del mondo che testimoniano la vita quotidiana di buon cristiano e buon cittadino.
Le epigrafi dei cimiteri spesso sono poesie, sul bianco e scuro del marmo delle lapidi scorre la storia delle persone.
Sotto l’ovale con la foto di Giammario avrei scritto: “non rattristiamoci per averlo perso, ma ringraziamo per averlo avuto”.
C’è una consolazione per tutti noi.
Giammario, dall’alto, ora che può vederci a uno a uno, sa quanto lo abbiamo amato.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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