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martedì 14 maggio 2013

Zaino in spalla: il perché del mio Cammino

Iniziai a macinare chilometri e chilometri perché un sacerdote a cui confessai non solo i peccati ma anche le pene, mi disse con voce solenne:
“Solvitur ambulando et ora”, risolvi i tuoi problemi camminando e pregando.

I miei conflitti interiori potevano acquietarsi in ogni tempo e stagione solo per sentieri fuori mano, immersi nei boschi e nel silenzio.

Così, ogni settimana quando, prima gli impegni scolastici e dopo quelli lavorativi me lo concedevano, a passo gagliardo marciavo nei miei pensieri, un metro dopo l’altro con ogni tempo e stagione.

Guadagnavo crinali, m’infilavo come un tordo nelle macchie fitte di ginestre e papaveri, mi riparavo nei tunnel vegetali di selve di querce.
Affrontavo cammini dirupati, mulattiere sgangherate, sentieri coperti dai rovi dal difficile orientamento, il tutto per vivere il mio “spaziamento” e dimenticare chi non avrei mai potuto dimenticare.

Ovunque andavo raccoglievo un sasso, strofinavo la terra sopra e lo facevo scivolare nella tasca dei calzoncini in cordura.
Lo portavo a casa come trofeo di una guerra!
In pochi anni il fondaco di casa si riempì di ciottoli e io piantavo nell’animo bandierine virtuali di luoghi esplorati.

Ne ho fatti d’incontri nelle migliaia e migliaia di chilometri percorsi.

Ho visto infinite volte le ombre bianche delle greggi al pascolo sulle distese erbose, i colori grigi delle giubbe dei pastori dall’aria sempre malinconica, i vestiti lordi di verde dei contadini piegati a buttar sudore sulla terra.

Ho incrociato volti radiosi, sorrisi coinvolgenti, sguardi fiduciosi ma anche tanto dolore, tanta miseria attraverso storie di vite difficili.

Ho battuto pianure e montagne, sempre alla ricerca di luoghi dove fuggire dal mondo.
Quasi sorprendendomi, mi sono accorto della passione di condividere la vita della gente di qualsiasi posto che giaceva nel fondo di me, in attesa di prendere luce.

Eppure non doveva essere difficile da capirlo.
Già anni prima mi divertivo a seguire, sulle cartine, i percorsi che immaginavo di fare.

Con i soldi della paghetta che mamma mi elargiva a ogni suo stipendio, acquistavo libri di uomini che raccontavano i loro “Cammini” e ammiravo l’elogio della lentezza, il silenzio delle anime e l’inutilità dei bagagli per coloro che, pellegrini nel mondo, si affidano alla bontà di chi li accoglie.

Mentre i miei coetanei sognavano di diventare un calciatore famoso, un attore importante, io mi vedevo come un Romualdo, piccolo monaco che girò per lunghi anni, prima di fondare il magnifico eremo di Camaldoli.

Sono seguiti indimenticabili stagioni di Club Alpino Italiano dove ho imparato che l’andar per monti in compagnia di amici, accomunati da identica passione, è bello almeno quanto lo star soli.

Ho vissuto lunghi mesi di scoperta, tra percorsi abbandonati dai rovi, vecchi tracciati in disuso utilizzati da carbonai, piste dove per un nonnulla ti perdevi.

Tante ascese, altrettanti trekking che, in diverse situazioni, mi hanno fatto provare la sensazione di non capire più dove si andava, un paio di volte anche di perdermi per fortuna non da solo, tornando a casa a tarda notte quando già stavano per chiamare il soccorso alpino.

Spesso ho perso i segnavia di un percorso, perché con altimetro e bussola non ho mai avuto ottime relazioni, altrettante volte ho spiegato la mia Kompass, sgomento a ogni passo, interrogando i disegni senza aver risposte, alla ricerca del profilo scuro di un borgo.
Infinite volte ho messo alla prova muscoli e carattere, attraversando torrenti, sopportando pioggia e solleone.
Ma non mi sono mai pentito neanche di un centimetro percorso, né di un minuto perso.

A volte sono riuscito anche diventare parte di un bosco, a parlare con un vecchio e frondoso tasso, a sentirmi tutt’uno con la natura mentre camminavo magari senza meta, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni.

Ho vissuto in due mondi diversi per lungo tempo: uno, preponderante fatto di giorni sempre uguali e persone diverse ad affollare uno sportello dell’amministrazione fiscale per chiedere informazioni, sgravi di cartelle esattoriali o per urlare il loro disappunto per le tasse canaglie;
l’altro, il mondo del tempo limitato, fatto di montagna solitaria, di mare d’inverno, di profumo di prati e di voci umili.

Anche oggi lo zaino è sempre pronto!

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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